Quella energicamente consumatasi al Monk, in data 18/02/2016, è stata più che con molta probabilità l’ultima apparizione romana di Youth Lagoon. Appena due settimane fa, infatti, Trevor Powers ha annunciato di voler far «calare il sipario» sul progetto e lasciare per sempre ai posteri una «trilogia di transizione», composta naturalmente dalle tre opere rilasciate a partire dal 2011: “The Year Of Hibernation”, “Wondrouse Bughouse” e “Savage Hills Ballroom”. Un capriccio d’artista, in fondo, che tutto sommato potrebbe esser semplice perdonare in vista di un seguito che difficilmente abbandonerà del tutto le vecchie proposte. Visto anche, e soprattutto, l’entusiasmo col quale il cantautore di San Diego viene regolarmente accolto dal pubblico – venue capitolina inclusa.
La serata si apre piacevolmente con le stramberie psych di Alex Brettin e i suoi Mild High Club, che regalano agli astanti una dignitosissima prima portata in attesa del piatto forte, sulle note di “Timeline”. Ad aprire il set di Youth Lagoon, poco più tardi, sarà il dittico No One Can Tell – Highway Patrol Stun Gun, ottimo incipit di un appuntamento in cui il songwriter appena ventiseienne è sembrato, di certo in vista dei titoli di coda, particolarmente in forma.
Protagonista principale il sopracitato “Savage Hills Ballroom”, come da copione, che tuttavia diviene un pretesto per un’analisi abbastanza completa sull’intera produzione di Powers: da Cannons a Sleep Paralysis, da July a Dropla sino al richiestissimo encore composto da Mute e dalla splendida 17. Sia o non sia stato un commiato, resta il sapore d’una carriera in crescendo che potrà trovare, salvaguardate alcune gemme del passato, un promettentissimo futuro. Youth Lagoon o meno, i nomi sono in fondo puri, purissimi accidenti – scriveva qualcuno.
SETLIST: No One Can Tell – Highway Patrol Stun Gun – Cannons – Rotten Human – Sleep Paralysis – Again – Doll’s Estate – July – Officer Tele – The Knower – Kerry – Dropla —encore— Mute – 17