Uno dei motivi per cui la quindicesima edizione dell’Ypsigrock è stata la miglior kermesse alternativa del nostro Paese è che in realtà, in Italia, c’è stato davvero poco altro nell’estate 2011. Triste ma vero. Un altro motivo, assolutamente più decisivo e rilevante, è che la line-up messa in piedi dagli organizzatori è stata di primissimo livello, con una rara attenzione al connubio fra nomi di spicco e nuove realtà messesi in luce nell’ultimo anno. Oltre ad una varietà di generi proposti che ha fatto benissimo in termini di affluenza di pubblico: la tre giorni castelbuonese, infatti, ha registrato per ogni serata il pienone, impreziosendo una cornice già di per sé splendida.
5 AGOSTO
L’onore di inaugurare il weekend tocca ai calabresi Captain Quentin col math del loro ultimo “Instrumental Jet Set”. Pulita e senza sbavature la mezzora di rito assegnata alla prima band sul palco di Ypsigrock 2011. E’ durante il primo cambio palco – a proposito, velocissimi almeno in questa prima giornata – che Piazza Castello comincia a riempirsi sensibilmente, giusto in tempo per l’ingresso in scena di Josh T. Pearson. Barbona lunghissima e t-shirt bianca, l’ex leader dei Lift To Experience inizia il suo salmodiare fatto solo di voce sofferente e fedele sei corde. Nient’altro sul palco, il songwriter texano “affronta” in solitario il pubblico dell’Ypsig, proponendo i brani del suo “Last Of The Country Gentlemen”, album pubblicato in questo 2011 e giustamente osannato dalla critica. Il responso dei presenti sono applausi scroscianti e meritati, per una performance intensa e incantevole. E’ quindi la volta dei Twin Shadow di George Lewis: voce pulitissima, sound eighties fatto di tanti synth e una presenza scenica non indifferente per la formazione newyorkese. I brani eseguiti sono ovviamente quelli di “Forget”, esordio della band dato alle stampe lo scorso anno che scuote una platea che, vista dall’alto, sembra un solo corpo ondeggiante. Headliner di questa prima serata i Pere Ubu, un pezzo bello grosso di storia della new wave, subentrati all’ultima ora agli Spiritualized inizialmente previsti in cartellone (tour annullato a causa di problemi di salute del vocalist Jason Pierce). La sostituzione non lascia affatto scontento il pubblico dell’Ypsig, anche perché David Thomas e soci si prodigano in un’esibizione semplicemente grandiosa. A dispetto dei suoi quasi sessant’anni, Thomas – bretelle d’ordinanza per lui – si dimena, siede trangugiando vino rosso direttamente dalla bottiglia, si rivolge al pubblico raccontando storielle su fantomatiche ragazze cui dedica i brani, urla in una sorta di imbuto-megafono, parla con se stesso o con qualcuno della band e mette in piedi il suo personalissimo spettacolo nello spettacolo. E quando arrivano i pezzi di “The Modern Dance” (vedi Non-Alignment Pact e Laughing) è delirio allo stato puro, sopra e sotto al palco.
6 AGOSTO
Fra panini con salsiccia e cipolla e birra a fiumi, la seconda serata vede la luce con i romani d’adozione Honeybird & The Birdies. Una proposta sonora, la loro, a cavallo fra world music, indie e folk, anche loro come i Captain Quentin vincitori del contest “Avanti il prossimo”, dedicato da Ypsig alle band emergenti. E’ quindi la volta dei londinesi Yuck, forti di un omonimo esordio che li ha lanciati al top delle classifiche delle new sensation di quest’anno. Shoegaze rumorosissimo che sfocia a tratti nel noise, viso pulito come nella miglior tradizione indie-rock del nuovo millennio e, soprattutto, un mucchio di brani di tutto rispetto che infiammano i più giovani fra il pubblico e non lasciano indifferenti gli ex giovani. A seguire, una delle band più attese di questo Ypsigrock, gli Esben And The Witch. Nonostante qualche problemino tecnico, con un’apparecchiatura che non ne vuole sapere di funzionare come dovrebbe, l’esibizione dei tre inglesi è da annoverare senza dubbio fra le più ispirate del festival. Indole goticheggiante, violenza melodica, elettronica a tinte scurissime e la voce ammaliante della minuta Rachel Davies a cavalcare schitarrate abrasive. E quando è il turno di una traccia come Eumenides, l’ipnosi dream-pop raggiunge l’apice. A chiudere il sabato del festival ci pensano i canadesi Junior Boys, paladini dell’indietronica da oltre un decennio. L’occasione è quella giusta per presentare l’ultimissimo capitolo della loro discografica, “It’s All True”, uscito nel mese di giugno. Il lavoro di synth e basi strumentali di Jeremy Greenspan e la sua band ha come effetto quello di trasformare il piazzale antistante il Castello di Castelbuono in una grande dancefloor all’aperto, grazie anche ai giochi di luci che fuoriescono dalla struttura del palco.
7 AGOSTO
La motivazione, però, per cui un buon 80% (a non voler esagerare) dei presenti è accorso al festival è ovviamente la serata conclusiva, che vede protagonisti gli scozzesi Mogwai. Ma andiamo con ordine: in apertura è il turno dei palermitani Dimartino fare quasi gli onori di casa. Il songwriting agrodolce del trio e la voce indolente di Antonio Di Martino convincono il pubblico dell’Ypsig. Antonio trova anche il tempo, in chiusura, per una battuta su L’Arsenale, l’Associazione Siciliana delle Arti e della Musica di cui i Dimartino fanno parte e che ha il suo banchetto proprio sul corso principale che porta al Castello. La seconda band a salire sul palco sono i londinesi Mount Kimbie, pronti a continuare l’esperienza iniziata la sera prima dai Junior Boys. Ma il lavoro di Dominic Maker e Kai Campos vira certamente verso sonorità ancor più estreme, con quel dubstep fatto di sequencer e campionamenti che, pur non essendo in linea con gli headliner della serata, sembra non dispiacere ai presenti. E poi tocca a loro. Telone da proiettore alle spalle (durante il set scorreranno una serie di video realizzati dalla band) e un apparato strumentale mastodontico, i Mogwai giungono per la prima volta in Sicilia attesi come un messia. Una sensazione, questa, che si percepisce semplicemente sentendo il chiacchiericcio fra il pubblico. A farla da padroni sono ovviamente i brani estratti dall’ultimo “Hardcore Will Never Die, But You Will”, vedi White Noise cui è affidata l’apertura, Rano Pano, How To Be A Werewolf, You’re Lionel Richie e Mexican Grand Prix, ultima traccia prima dell’encore di rito. Ma nella setlist degli scozzesi non mancano cavalli di battaglia come Friend Of The Night, New Paths To Helicon, Pt. 1, 2 Rights Make 1 Wrong, Hunted By A Freak e, soprattutto, Mogwai Fear Satan, eseguita in una versione di un’imponenza e di una potenza più uniche che rare. L’impatto sonoro degli scozzesi sulla Piazza è semplicemente pauroso, i cinque si scambiano chitarre come fossero figurine, ed ognuna sembra un mitra pronto a sparare raffiche scroscianti sulla platea. Stuart Braithwaite è l’unico a proferire qualche parola al microfono, intervallando un pezzo e l’altro con un “cheers” e una birra in mano. Quando anche l’encore (Auto Rock e Batcat) è esaurito, le orecchie fischiano anche a chi non si trovava proprio in prossimità delle transenne. Una top band pone così fine a un’edizione dell’Ypsigrock anch’essa al top.
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A cura di Emanuele Brunetto