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Zanne Festival 2017

Da che mondo è mondo i festival sono una benedizione. I loro benefici sono provati scientificamente: aumentano l’attesa, tengono alto l’umore, fanno salire i valori dell’adrenalina nel sangue, sono la massima espressione di condivisione, favoriscono le conoscenze, non temono le diversità e accolgono tutti (belli, brutti, nerd, bambini, ragazzi e anziani). Per il pubblico italiano, il sogno di un festival musicale puramente inteso è ancora molto lontano dalle aspettative: non esiste qualcosa che si avvicini anche alla lontana a Glastonbury, Tomorrowland, Sziget, Primavera Sound o Werchter. Il catanese Zanne Festival, però, nonostante la sua giovane età, nelle precedenti tre edizioni si è guadagnato la stima e l’attenzione di una grande fetta di pubblico (basti pensare alle performance di Calexico, FFS o Godspeed You! Black Emperor, nelle precedenti edizioni). Ancora di più quest’anno, dopo la delusione della mancata edizione del 2016, l’annuncio a pochi mesi dalle date aveva preparato il pubblico a vivere nuovamente una tre giorni di arte, musica e natura, esattamente come recita il suo slogan. Anche quest’anno, però, qualcosa nei meccanismi si è inceppato e il festival a pochi giorni dall’inizio è stato costretto a traslocare dalla pineta di Nicolosi al Castello D’Urso Somma, privando il pubblico della natura selvaggia, ma lasciando comunque dell’ottima musica: con il senno di poi, è stato meglio così piuttosto che non godere di gran parte di una line-up annunciata da tempo.

 

DAY 1 – 21 LUGLIO

H. GRIMACE – Per un lievissimo errore tattico dell’organizzazione (aprire i botteghini in ritardo e far iniziare i concerti in perfetto orario si è rivelata una cattiva idea) è lecito dedurre che la giovane band post punk di sangue londinese abbia suonato in presenza di un gruppo sparutissimo di persone. Peccato, la loro perfomance sembrava interessante. Varcata la soglia d’ingresso quasi alla fine del live, con uno scatto felino riusciamo a non perdere gli ultimi due pezzi in scaletta: 2.1 Woman, tratta dall’album “Self Architet” del 2017 e Royal Hush, singolo lanciato nel 2016. Suoni graffianti, toni scuri e testi decadenti non sono d’ostacolo all’interazione tra la band e il minuscolo pubblico che si dimostra stordito ma tutto sommato partecipativo. Peccato davvero esserseli persi. (S.V.)

FUFANU – Quando sul palco salgono i Fufanu, islandesi, giovani e carichissimi, lo spettacolo inizia sul serio: si parte, in sequenza, con Liability, Just Me, Gone For More e Bad Rockets dall’ultimo album “Sports” (2017), tre scariche di post punk psichedelico e una litania paranoica che creano l’atmosfera adatta a una buona partenza dello Zanne. La band è inquietantemente interattiva, con Kaktus Einarsson che fissa gli spettatori a uno a uno, saluta e biascica qualche parola in italiano. Northern Gannet, traccia tratta da “Few More Two Days” (2015), inizia con un ulteriore tentativo del cantante di parlare italiano, così tutti per qualche minuto finiamo per chiederci cosa diavolo significhi “ANNANINO” che Kaktus Einarsson ripete in loop praticamente da quando è salito sul palco. A un certo punto si arrende anche lui: “Non mi capite, vero?!? Sto cercando di esercitare il mio italiano. Il senso di quello che dico è let’s go!”. In quel momento l’anima del catanese doc si accende e una ragazza dal pubblico suggerisce a gran voce “AMUNINNI” (“andiamo” in dialetto catanese): a quel punto, è subito amore reciproco e si continua saltellando. Si continua con Sports, title track dell’ultimo album con cui il gruppo di Reykjavík mostra ancora una volta di saper creare una perfetta interazione con il pubblico che apprezza e partecipa attivamente. Prima di iniziare Your Collection, una raffica di synth e batteria con un potentissimo assolo di chitarra, tra gli ultimi pezzi del live, i ragazzi si chiedono (e ci chiedono) per quanto tempo devono continuare a suonare, precisando che non c’è nessun problema: hanno un sacco di pezzi e non sono per niente stanchi. I Fufanu ci lasciano alle 21.40, storditi ma tutto sommato soddisfatti. (3/5)

OF MONTREAL – La scenografia cambia, si riempie di enormi palloni rosa e la platea si colora di rosso e verde acido: sono pronti gli of Montreal, band nordamericana dal synthpop psichedelico che ha transitato attraverso il collettivo The Elephant 6 Company Record. I primi pezzi del live, Gratuitous Abysses, Let’s Relate e Ambassador Bridge sono tutti tratti dall’ultimo “Innocence Reaches” (2017), a eccezione di We Will Commit Wolf Murder, splendida traccia in pieno stile vaudeville da “Paralytic Stalks” (2012). Sono personaggi grotteschi questi “ragazzi” provenienti dalla Georgia, sembrano usciti da un film di Tim Burton. Basti pensare che Kevin L. Barnes si presenta sul palco con varie parrucche bionde (che cambierà con estrema disinvoltura nel corso del live), collant verdi, una minigonna ascellare e un giubbottino cortissimo. Ma non è questa la cosa stupefacente, quanto il fatto che con le loro esibizioni retrò e grazie a un utilizzo appropriato dei sintetizzatori danno vita a un performance brillante, divertente e condivisa da un pubblico entusiasta che partecipa alla festa per tutta la durata del live. Si passa da A Sport And A Pastime a Labyrinthian Pomp senza soluzione di continuità, per arrivare a Gronladic Edit e sparire dietro una nube di fumo. (3,5/5)

EINSTÜRZENDE NEUBAUTEN – Inutile negarlo, il loro era il live più atteso e oggettivamente carico di aspettative.  Entrambe le cose sono state abbondantemente ripagate: assistere a una performance del collettivo berlinese non è paragonabile a nessun’altra esperienza live. A dir la verità, non è neanche una semplice esperienza live: è un viaggio nell’inquietudine dei loro anni e dei nostri tempi, muto e rumoroso allo stesso tempo. Il synth a singhiozzo di una battuta al secondo è inconfondibile: l’inizio di The Garden ammutolisce tutto il pubblico che non proferirà più alcuna parola durante ogni esecuzione, eccetto che tra un pezzo e l’altro per manifestare entusiasmo al gruppo. Superato l’impatto iniziale, si accendono sul palco le luci bianche e appare chiaramente tutto l’armamentario che gli Einstürzende Neubauten utilizzeranno per il live: lamiere, un’enorme molla, bidoni di metallo, grandi strutture formate da tubi di metallo, un palo sottilissimo ma lungo tutto il palco e una ruota piena di lamiere che diventa parte integrante di Nagorny Karabach, compassata e minimalista, e Die Befindlichkeit Des Landes, sfiorata lievemente da Rudolph Moser con una bacchetta di metallo. Al gruppo non dispiace interagire con il pubblico, così Blixa Bargeld prende parola in più di un’occasione, salutando con un deciso “Buonasera, salve! Questa è la prima volta che suoniamo in Sicilia e a noi non dispiace per nulla. Oggi pomeriggio, però, ci è successa una cosa strana: prima di venire qui, siamo stati a Nicolosi e non abbiamo trovato nessuno ad aspettarci!”. Inutile fare finta di niente, il cambio di location ha infastidito un po’ tutti, e allora se un po’ di sana ironia viene da Berlino e ha il sapore del ferro grezzo, che ben venga! Unvollständigkeit, dall’album “Alles Wieder Offen”, eseguita nuovamente con l’aggiunta di lamiere roteanti, si trasforma lentamente in un frastuono di vetri rotti a enfatizzare ancor di più il senso di inadeguatezza e insoddisfazione cui si riferisce la traccia. Ma probabilmente l’elemento più sconvolgente degli Einstürzende Neubauten è il tono di voce tra cantato e parlato di Blixa Bargeld, che nei punti clou di alcuni pezzi si trasforma in uno stridio penetrante in grado di competere perfettamente con il suono metallico degli attrezzi inconfondibile marchio di fabbrica degli Einstürzende Neubauten. Poco prima di Youme&Meyou il cantante esprime il suo dissenso nei confronti della decisione dell’Inghilterra di uscire dall’Unione Europea, mandando elegantemente a quel paese i vertici britannici. Seguono Sabrina, Susej e How Did I Die, gotica e meravigliosamente sensuale. L’encore si riempe con Salamandrina, Let’s Do It A Dada e Total Eclipse Of The Sun. Vivere gli Einstürzende Neubaten significa rimanere attoniti e inebriati da cacofonie, dissonanze e ritmiche disperate. E nonostante tutto, è bello vedere che nulla è cambiato dagli anni ‘80 a oggi, da quando hanno dato vita all’industrial nella Germania che non dava natali più a nulla, se non a muri di elettricità. Gli Einstürzende Neubauten sono rimasti un gruppo di persone in grado di riuscire a trarre ispirazione da un nastro rubato a Vienna il 18 Febbraio 1982. (5/5)

 

DAY 2 – 22 LUGLIO

THE LIMIÑANAS – I francesi aprono le porte della seconda giornata di Zanne.  Lionel (chitarra) e Marie (batteria) Limiñanas a primo acchito sembrano usciti da un film di Tarantino e il suono che riproducono dal vivo restituisce esattamente questa stessa sensazione. La passione del duo di Perpignan nei confronti del cinema è abbastanza nota, basti pensare che il titolo del loro ultimo album “Malamore” è tratto dal film erotico italiano di Eriprando Visconti del 1982. È proprio Malamore, title track dell’album del 2016, ad aprire il live con un colpo di trivella dritta alle orecchie, merito anche dell’assenza di piatti batteria di Marie Limiñanas. Lo spettacolo continua tra Down Underground, Tigre Du Bengale ed El Beach con la splendida cadenza aspirata di Nika Leeflang, (cantante principale del gruppo nel tour in corso) che mette in risalto ancora di più il contrasto tra garage rock, groove anni ’70 e la sensualità della lingua francese. Il groove dei The Limiñanas è semplice e immediato ed entra immediatamente in testa, anche a costo di sembrare ripetitivo, come durante AF3458, il cui tema portante a cura delle corde di Lionel Limiñanas è sinistro e inquietante ma mai noioso. A fine performance, dopo l’ultimo pezzo Betty And Johnny, il gruppo scende dal palco per godersi il live successivo. Meglio di così, si muore. (3,5/5)

FUJIA AND MIYAGI – La band di Brighton, 50% giradischi e 50% Karate Kid, si rivelano un perfetto ponte di collegamento tra i toni noir dei The Limiñanas e il surrealismo degli Air. Psichedelici ma pulitissimi nei suoni iniziano  con Serotonin Rushes, tratta dall’album del 2017 che prende il nome della band. Il resto del live è una sequenza dei pezzi tratti proprio da “Fujia And Miyagi”, tra cui Solitaire e Impossibile Object Of Desire, e fortunati ripescaggi da vecchi album (le performance di Collarbone e Ankle Injuries, da “Trasparent Things” del 2006 sono percepite in modo particolarmente paranoico). Non risultano particolarmente interattivi, ma con il groove a metà tra kraut rock ed electro pop riescono comunque a trasfromare il Castello D’Urso Somma in una mega discoteca, con il pubblico che si muove a tempo e i The Limiñanas che ballano come se non ci fosse un domani. (3,5/5)

AIR – Impossibile decidere se quando fu annunciato il ritorno di Zanne sia stata più esaltante la notizia del festival che ci aveva lasciati orfani nel 2016 o l’annuncio del primo headliner: gli Air. Il duo francese è uno di quei gruppi in grado di selezionare perfettamente un pubblico: persone sparse lungo tutto il perimetro del castello, apparentemente noncuranti di tutto ciò che precede la performance degli Air. Dall’inizio del live, aperto da Venus, il palco e la platea restano al buio, pochissime luci lasciano intravedere le sagome di Nicolas Godin e Jean Benoît Dunckel. Il mondo degli Air è tanto etereo quanto avvolgente (in più di un’occasione si ha la sensazione di non distinguere i suoni campionati dal duo francese), così tra Cherry Blossom Girl, J’ai dormi sous l’eau e Playgronud Love eseguite unicamente con effetti del synth e semplici linee di basso, la platea, tra cui anche i Fufanu, reduci dalla prima sera del festival, sviluppa la splendida arte del fluttuare. Tutto è campionato nel mondo degli Air, c’è Kelly Watch The Stars, omaggio del gruppo alla Charlie’s Angels Kelly Garret, con Nicolas Godin che usa il vocoder anche per ringraziare il pubblico, rigorosamente in Italiano. Durante l’esecuzione di Talisman le luci in platea vengono spente del tutto, non sapremo mai se per scenografia o necessità, fatto sta che l’atmosfera è ancora più intima. La seconda e ultima parte del live inizia con Alone In Kyoto, dalla colonna sonora di “Lost In Translation”, raffinata e brillante. Per qualche strano motivo, purtroppo All I Need resta fuori dal la setlist, come da tutte le esibizioni recenti degli Air. Si finisce con Sexy Boy, accolta a gran voce dal pubblico e con Le femme d’argent che conclude la performance dopo un lunghissimo assolo di basso e synth. (4,5/5)

 

DAY 3 – 23 LUGLIO

TÖRST – Ad aprire l’ultima sera del festival sono i törst, giovane duo salernitano formato da Adriano Elia e Paolo Marcellini, vincitori del contest Nuove Zanne. Il gruppo, in perfetta linea con il taglio electro rock dell’edizione di quest’anno, mettono in atto una performance di suoni campionati davvero niente male. Ascesa, in particolare, uno dei quattro pezzi presentati dal gruppo, con battiti lentissimi e suoni cupi che creano una perfetta atmosfera gotica, si rivela uno dei momenti più intimi e suggestivi del live mentre The Endless Realm, eseguita con pochi semplicissimi accordi di chitarra classica, smorza la durezza del suond di gran parte della perfomance, completata da Beyond The Truths e Agglomerato Anonimo. (3/5)

THE MISTERY LIGHTS – Saranno state le congiunture astrali o sarà che dopo tre giorni di computer e sintetizzatori si avvertiva un leggerissimo bisogno di ascoltare del sano e cafone rock’n’roll, fatto sta che questi ragazzi di Brooklyn, si sono rivelati con il loro rock psichedelico californiano anni ‘70 la vera sorpresa del festival. Estremamente coinvolgenti e in assenza quasi totale di synth (che Dio sia lodato), la band dà vita a un’esibizione potente, brillante e divertente. La partenza è moderatamente esaltante grazie a Follow Me Home che accende il pubblico con chitarre retrò e tamburi bassi e persistenti con Mike Brandon, frontman molto coinvolgente, che salta, urla, gioca con il pubblico e si diverte. Il live prosegue con l’esecuzione di quasi tutte le tracce dell’ultimo album, Flowers In My Hair, Demons In My Heart, lenta e sensuale, Melt, dai riff ispanici, Candlelight con ritmi che salgono lentamente fino a far perdere la cognizione dello spazio. Superfluo precisare che su Too Many Girls non restano fermi neanche i piedi dei tavoli dello Zanne Bazaar, il tutto con il semplice utilizzo di voce, chitarra, un organo che richiama i The Doors senza mai infastidire, basso e batteria, esattamente come facevano gli antichi! Come nella migliore tradizione rock, chiudono con What Happens When You Turn The Devil Down, lanciando i plettri a una folla in delirio. (4/5)

ULRIKA SPACEK – Sangue berlinese ma cresciuti in Inghilterra, sono il penultimo gruppo a esibirsi nella tre giorni di Zanne. La band psych rock, con influenze kraut e rock sperimentale, porta in scena buona parte dei pezzi tratti dalla recentissima uscita discografica “Modern English Decoration” e, probabilmente, il problema è proprio questo: subito dopo essere partiti con Mimi Pretend, qualcosa va storto e la band rileva qualche problema con i volumi. Da quel momento in poi il gruppo stenta, stoppando il live più di una volta. La performance non decolla, la band non riesce a amalgamarsi con il pubblico o forse il contrario. Il live mescola pezzi del loro album d’esordio, “The Album Paranoia” (2016) tra cui She’s A Cult, Strewberry Glue I Don’t Know con le tracce di “Modern English Decoration” (Silvertonic, Saw A Habit Forming, Victorian Acid). È probabile che i problemi tecnici li abbiano indispettiti irrimediabilmente, fatto sta che gli Ulrika Spacek lasciano il palco subito dopo Beta Male con un pubblico abbastanza freddo e poco entusiasta (causa anche la vicinanza dell’esaltazione per i The Mystery Lights). (2/5)

SOULWAX – Il cambio palco che precede l’ingresso dei Soulwax, headliner di chiusura del festival, espressione massima del concetto di multidentità, dura più dei precedenti. Questo particolare desta non poca attenzione da parte del pubblico, già curioso di capire come verrà fuori la trasposizione dal vivo di “From Deewee”, il disco registrato in unica take e contenente tracce ispirate dal “Transient Program For Drums And Machinery” tour del 2016. Finalmente le luci si spengono, si sente un urlo pazzesco provenire dal backstage e la batteria suonare rintocchi quasi sordi. Poi il caos, il palco e la platea s’illuminano a giorno e con l’ultimo colpo di batteria cadono i teloni che scoprono i tre batteristi, Victoria Smith, Igor Cavalera (Sepultura) e Balke Davies, con David e Stephen Dewaele a centro stage per iniziare il viaggio. Do You Want To Get Into Trouble?, Krack, Is It Always Binary, Missing Wires, Glass, The Singer Has Become A Deejay tutte in sequenza e senza alcuna soluzione di continuità sono una scarica di ritmi serrati, con Stepehen Dewaele che si alterna tra synth, voci e rototom drum. I Soulwax lo avevano detto e lo fanno davvero: suonano elettronica live con le batterie vere! E mentre Igor Cavalera sembra dare fondo a tutte le sue energie per dare vita, insieme agli altri, a una perfomance bestiale (anche se a lungo andare un po’ ripetitiva, per i non amanti del genere). Il microfono binaurale AKG a forma di testa umana, che cattura il suono nelle sue orecchie sinistra e destra, protagonista della copertina di “From Deewee” e posto al centro del palco, inizia a roteare a metà performance senza più smettere. Come lui, anche il pubblico. (4/5)