Dove affonda le proprie radici un’esperienza artistica enorme come quella dei Low di Alan Sparhawk e Mimi Parker? In tanto del rock indipendente americano sviluppatosi a cavallo fra ’80 e ’90, ovviamente, ma se si dovesse fare un nome, un solo nome, sarebbe senza ombra di dubbio quello dei Galaxie 500. Formazione di base a New York lasciata troppo spesso ai margini della storia che conta, la band di Dean Wareham (voce, chitarra), Naomi Yang (basso) e Damon Krukowski (batteria) è riuscita, in pochi anni d’attività e con appena tre album e una manciata di altri brani, a segnare un solco profondissimo percorso dalle generazioni di musicisti a venire, dando i natali al filone più melodico del cosiddetto slowcore. Se un gruppo come i Codeine fa della ruvidità strumentale e della rabbia repressa la propria cifra stilistica, i Galaxie 500 impastano le loro rallentatissime trame con la morbida psichedelia sixties dell’ultima fase dei maestri Velvet Underground, atmosfere malinconiche e una poetica tutt’altro che ostica o elitaria: non c’è impegno di alcun tipo nella musica dei Galaxie 500, c’è piuttosto rassegnazione e presa di coscienza di un’epoca avara di soddisfazioni negli Stati Uniti di Ronald Reagan. Si scioglieranno all’indomani della pubblicazione del loro terzo e ultimo lavoro, ma piuttosto che di una rottura sarebbe meglio parlare dell’affievolimento di una fiamma, progressivo fino al suo definitivo spegnersi. I nuovi progetti dei tre non saranno all’altezza dei Galaxie 500 ma contribuiranno ad accrescere anno dopo anno la dimensione leggendaria della band.
TODAY (1988)
L’esordio comprende anche quella “Tugboat” che fu il primo singolo inciso dalla band, nonché loro brano manifesto: le vene psichedeliche sono qui molto accentuate, fra ricercatezze folk (vedi l’armonica di “Oblivious”), atmosfere trasognate (vedi “It’s Getting Late”) e un persistente senso di alienazione, tanto privata quanto collettiva, che si nasconde dietro le frasi quasi sussurrate da Dean.
Brano consigliato: Tugboat – In breve: 4,5/5
ON FIRE (1989)
Forti dell’esperienza maturata in studio col produttore Mark Kramer e in tour, i Galaxie 500 realizzano il capolavoro della loro discografia. A dispetto del titolo, di infuocato qui c’è ben poco: i ritmi rallentano ancora di più, la chitarra si fa languida a livelli da anestesia totale, il falsetto di Wareham è indolente come non mai e tutto suona dilatato e catatonico, nonostante qualche subitanea esplosione che prova a reagire ma finisce col rimarcare l’imperante stasi dell’intero album. L’isolamento cosmico, la frustrazione e un vuoto straniante si impadroniscono definitivamente della band.
Brano consigliato: Tell Me – In breve: 5/5
THIS IS OUR MUSIC (1990)
Le difficoltà nell’approcciarsi a un discreto successo da parte di una band anti-protagonista per definizione, portano i Galaxie 500 a pubblicare un terzo album palesemente inespressivo e chiuso verso l’esterno: lunghe divagazioni strumentali imbastite per evitare di dover “dire” necessariamente qualcosa e una sezione ritmica più incisiva che sembra quasi voler coprire la voce.
Brano consigliato: Summertime – In breve: 3,5/5