Dagli A Place To Bury Strangers sai sempre, perfettamente, cosa attenderti. Il che sarebbe in sé un male, perché di regola un pizzico di effetto sorpresa non guasterebbe affatto, giusto per scombinare di tanto in tanto le carte in tavola. Ma per quanto ci (e li) riguarda è un bene, sappiamo che di loro ci si può fidare, conosciamo il menù e ci sta bene come ci sta bene il sugo la domenica a pranzo. Prevedibilmente, dunque, anche Transfixiation non tradice le aspettative.
Cosa ci si aspettava da questo quarto lavoro dei newyorkesi? Ne più ne meno di ciò che è: i soliti spasmi shoegaze e post punk adagiati sul solito letto di noise disarticolato. Quello che fanno, con successo, da sempre. Licenziato ancora una volta per la Dead Oceans, “Transfixiation” segna rispetto al precedente “Worship” (2012) un ritorno alle asperità dei primi due capitoli della discografia di Oliver Ackermann e soci. Non che “Worship” fosse un disco pop, intendiamoci, ma qui la chitarra di Achermann è una lama che più affilata non si può, mentre la sezione ritmica del duo Lunadon/ Gonzalez è un pitbull sguinzagliato alle calcagna dell’ascoltatore. Più di sempre.
Da Supermaster a Straight, passando per What We Don’t See e We’ve Come So Far (forse la più orecchiabile del lotto), il marchio di fabbrica della band è a dir poco evidente e il tutto risulta piuttosto metodico, dunque tiriamo innanzi e parliamo del vero crack del disco: Deeper, coi suoi oltre sei minuti di durata, spacca a metà l’album e tira fuori tutta l’indole oscura degli A Place To Bury Strangers. Una lunga discesa negli inferi con sullo sfondo il fantasma di Ian Curtis che indossa il cappello di Michael Gira. Dopo una bordata del genere era d’obbligo una camera di decompressione e questa arriva con la strumentale Lower Zone, che funge da coda per “Deeper” e da gangio col resto dell’album. Il trittico conclusivo è la definitiva esplosione, un coacervo di distorsioni in crescendo che nel finale di I Will Die – e quindi del disco – diventa letteralmente soffocante.
Come lasciavamo intuire all’inizio, nulla di nuovo salta fuori dalle tenebre di questo “Transfixiation”, ma l’apocalisse urbana che riescono a mettere in piedi ogni volta gli A Place To Bury Strangers, seppur routinaria, non può lasciare indifferenti: non sono tante le band che sanno spalmarti addosso certe atmosfere e loro sono fra quelle.
(2015, Dead Oceans)
01 Supermaster
02 Straight
03 Love High
04 What We Don’t See
05 Deeper
06 Lower Zone
07 We’ve Come So Far
08 Now It’s Over
09 I’m So Clean
10 Fill The Void
11 I Will Die
IN BREVE: 3,5/5