Chissà se ce la meritiamo, una come Adrianne Lenker. Una che apre le prove dei concerti dei Big Thief alle scolaresche. Che pubblica un EP e ne devolve l’intero ricavato a un fondo per le cure dei bambini in Palestina. Che non riesce a scrivere una canzone brutta. Che mette insieme un album come Bright Future pur non avendone l’intenzione. Perché quando ha deciso di trascorrere del tempo in mezzo ai boschi – accompagnata dal produttore Philip Weinrobe e dai musicisti Nick Hakim (piano), Mat Davidson (chitarra) e Josefin Runsteen (violino) – voleva solo incidere dei pezzi, dedicarsi un po’ agli strumenti che ama.
Il risultato, invece, è una collezione di brani ispirati dalla solita indescrivibile naturalezza melodica, dalla stessa delicata attitudine alla quale ci ha ormai talmente abituati da lasciare le mandibole perennemente rilassate. La cantautrice si orienta in territori a lei e noi parecchio noti: folk, country, americana. La coesione stilistica dell’opera è insieme, come sempre in certi casi, la sua forza e – se l’ascolto è un po’ distratto – la sua (spendibilissima) condanna. Sinceramente: peggio per i distratti.
Non sanno che si perdono: le dolcissime Real House ed Evol, le eteree ma non serie Sadness As A Gift e Free Treasure, l’energica Vampire Empire, la clamorosamente eccelsa Ruined. Forse, a voler essere pignoli, il punto debole del disco è un po’ di maniera nella seconda metà: ma poi arriva quel finale e insomma, come si dice a Roma, che je voi di. Ci vuole coraggio a parlare di questi tempi di “Bright Future”. Con un genocidio sotto gli occhi inermi del mondo, una guerra lunga, assurda ed europea, la minaccia costante di qualcosa di più esteso e più terrificante. Eppure non abbiamo che questa vita. Almeno per adesso. E dovremmo tutti agire in modo da non pensare: chissà se ce la meritiamo, in fondo, una come Adrianne Lenker.
2024 | 4AD
IN BREVE: 4/5