Quando, ormai quasi cinque anni fa, Alan Vega lasciava questo mondo orfano della sua genialità, la miriade di attestati di stima e devozione rivoltigli avevano dimostrato come spesso non occorra chissà quale protagonismo per guadagnarsi i gradi dell’immortalità. Non che ce ne fosse bisogno, ma è stato come se, collettivamente, la sua scomparsa abbia posto il definitivo sigillo della storia a un’esperienza folle, straniante e fondativa come quella dei Suicide. Il marcio fatto rumore, le paranoie e l’insanità mentale incise su disco, un realistico e opprimente quadro di quella New York fatta − ancora oggi, figuriamoci negli anni ’70 − più da sobborghi malconci e ghetti luridi che da lustrini e mondanità.
A distanza di cinque anni la Sacred Bones, cui non saremo mai troppo riconoscenti per la visione della musica che diffonde e porta avanti, ha intavolato questo progetto di recupero del materiale “perduto” dell’ex Suicide e grazie alla preziosa collaborazione della compagna Liz Lamere ha licenziato Mutator, un primo assaggio di ciò che hanno in programma. Le registrazioni contenute in “Mutator”, realizzate da Vega proprio insieme a Lamere tra il 1995 e il 1996 e poi accantonate, sono state affidate alle mani del produttore Jared Artaud (che aveva già lavorato con Vega in passato) e ciò che ne è venuto fuori è uno spaccato fortemente rappresentativo di ciò che Vega è stato, è e per sempre sarà: uno sperimentatore visionario e avanguardista.
Certo è come il lavoro di Artaud possa in qualche modo aver dato una veste più attuale a tracce vecchie ormai venticinque anni e più, ma il punto focale di questo disco (così come dell’intera produzione firmata da Vega) non sta tanto nel suono, nei mezzi tecnici con cui la sua musica è stata registrata e/o rielaborata, quanto nel concetto, nell’approccio espressivo che lo rende futuristico pur venendo da lontano. È breve “Mutator”, poco più di mezz’ora di flash industriali (Filthy e il singolo Nike Soldier, messi in sequenza, sono un vero bignami del genere), avvilenti scorribande sintetiche (Fist con la sua drum machine ossessiva, Muscles coi suoi fumi mefistofelici), nightmare pop da b-movie (Samurai) e tensione palpabile anche quando Vega non proferisce parola (Psalm 68), ma nella sua brevità è comunque l’iconico scenario del Vega-pensiero.
Non è chiaro quanto e quale materiale ci sia fra le mani di Sacred Bones, Lamere e Artaud (è stata annunciata una lunga serie di uscite raggruppate sotto l’etichetta di “Vega Vault Project”), ma “Mutator” lascia intendere come i diversi soggetti interessati siano perfettamente in grado di valorizzarlo quel materiale, facendolo arrivare a noi nella forma il più aderente possibile alle visioni di Alan Vega. Per far sì che il suo verbo non smetta mai di fare proseliti.
(2021, Sacred Bones)
01 Trinity
02 Fist
03 Muscles
04 Samurai
05 Filthy
06 Nike Soldier
07 Psalm 68
08 Breathe
IN BREVE: 3,5/5