Aldous Harding mentre conversa fa lunghe pause per pensare a cosa dire e, prima di iniziare a parlare, muove la bocca in modi particolari, come per annunciare le proprie parole. Poi con lo sguardo un po’ perso, un po’ focalizzato e ironico, risponde.
Aldous Harding mentre suona e si esibisce è talmente concentrata che strabuzza gli occhi e le si storce il viso in espressioni da spiritata. Sembra che debba accartocciarsi da un momento all’altro. Così Hanna Harding, che si fa chiamare Aldous, è partita da quell’angolo di mondo che è la Nuova Zelanda ed è giunta in Inghilterra, dove ha registrato il suo secondo album, Party, prodotta da un signore chiamato John Parish. Nonostante il titolo connoti una situazione gioiosa, il lavoro non ha lo scopo di prendere in prestito le caratteristiche tipicamente ridenti e di socievolezza di una festa, ma gli aspetti cupi e tristi, quelli nascosti, come quando ci si accorge che dietro la calca che salta, balla e si diverte c’è chi sta seduto in un angolo a sorseggiare un bicchiere con lo sguardo malinconico e annoiato perso nel vuoto.
Forse è un po’ così che si è sentita Aldous componendo queste canzoni, triste per non aver saputo o potuto gioire delle piacevolezze e delle frivolezze della vita, ma anche per aver dovuto patire gravi turbamenti d’amore, tematica che non manca nelle liriche delle canzoni. Infatti, nella traccia che dà il titolo all’album Aldous urla con voce ristretta, quasi infantile, all’interlocutore nella sua testa “If there is a party will you wait for me?”, come se avesse paura di non essere attesa o avesse timore di arrivare in ritardo per poter godere di un’occasione speciale.
Blend apre l’album e Hanna, con voce quasi accennata su una ritmica elettronica e pochi efficaci accordi, ci fa subito innamorare delle sue corde vocali che successivamente si palesano in tutta la loro versatilità. Imagining My Man cuce insieme piano, chitarra e voce in modo elegante su un fluire di note in sospensione e di tormento interiore. Si procede poi con arrangiamenti tipicamente folk, con un pizzico di suoni elettronici sparsi qua e là e l’aggiunta, al momento giusto, di un sax discreto, che non guasta mai.
Il tormento e la rabbia si fanno chiari in Horizon, pochi accordi funerei che si ripetono lenti: sembra di vederla urlare piangendo, mentre chiede di scegliere tra lei, l’amore e le mille opportunità che il mondo può offrire (“Here is your princess and here is the horizon!”); il pezzo fa trasparire proprio quanto possa essere difficile trovarsi a un simile bivio e il dover accettare la risposta a un tale ultimatum. Non solo folk à la Elliott Smith e Jessica Pratt, ma anche un po’ di minimalismo etereo in stile Agnes Obel in What If Birds Aren’t Singin, They’re Screaming. Qui la sorprendiamo a chiedersi, con voce cupa e preoccupazione allucinata, cosa accadrebbe se gli uccelli non cantassero ma urlassero, accompagnata da un piano che si dispiega nel brano in punta di piedi.
Nell’ultimo pezzo, Swell Does The Skull, compare in modo fugace Parfume Genius. Ad un certo punto pare di sentire un flauto e invece è la cantautrice che tramuta la sua voce nello strumento, denotando ulteriormente un grande controllo e una formidabile capacità vocale. Il folk e l’espressività del corpo di Aldous Harding disturbano e forse, come prima reazione, si ha quella di fuggire, ma la sua voce interviene da pifferaio magico e fa restare e ascoltare fino in fondo, per vedere dove si giunge. L’album effettivamente accompagna in luoghi lontani, che sono i luoghi cupi e malinconici dell’animo e il viaggio non è per niente male. L’ascolto si compie, quindi, in stato di riflessione, magari al tramonto.
“Stones smell good when you cuddle them”, canta Hanna in Party, concetto assimilabile all’album: non leggero, ma se si ascolta con l’inclinazione spirituale giusta, può apportare delle piccole e belle soddisfazioni. L’artista neozelandese ha gusto per gli arrangiamenti e sembra anche sincera e profonda nel modo in cui si esprime; per questo ci auguriamo che non sia l’ennesimo fake partorito dal mondo del folk contemporaneo e aspettiamo che il tempo ci dica la sua, facendo il tifo per lei. Per ora, vogliamo fidarci di quel signore sopra citato, John Parish, che se si è messo a lavorare con lei dopo PJ Harvey qualcosa deve averla pur intuita.
(2017, 4AD)
01 Blend
02 Imagining My Man
03 Living The Classics
04 Party
05 I’m So Sorry
06 Horizon
07 What If Birds Aren’t Singing They’re Screaming
08 The World Is Looking For You
09 Swell Does The Skull
IN BREVE: 3,5/5