Nel 2015 era successo esattamente questo con l’omonimo debutto degli Algiers, perché quella mistione di post punk, gospel, industrial, soul e chi più ne ha più ne metta era apparsa fin da subito qualcosa di fresco nonostante gli indubbi riferimenti classici. Ma per gli Algiers quell’esordio ha rappresentato più di un album, più di uno sguardo speranzoso verso una qualche forma di notorietà o successo: è stato un grido di rabbia, un morso alla giugulare degli ingiusti che manipolano un mondo di conseguenza tristemente ingiusto. La questione razziale, in primissimo piano due anni fa, anche in The Underside Of Power è sempre il trait d’union della penna di un Franklin James Fisher che ancora una volta non le manda a dire, non usa metafore o giri di parole politically correct: va dritto al sodo, pesante come un carrarmato in Cleveland che è un j’accuse dalla portata assimilabile a quella di un Kendrick Lamar.
Gli Algiers non sono una band lineare, fanno scorrere sangue a litri e con questo c’innaffiano i loro brani, usando l’attitudine punk per mordere alle caviglie del bastardo di turno ma con una verbosità, una ricerca di riferimenti letterari e alti che con l’immediatezza del punk non hanno nulla a che vedere (vedi Mme Rieux e Plague Years, che pescano ne “La Peste” di Albert Camus). Gli Algiers vanno ascoltati, su Walk Like A Panther ad esempio devi ripassarci una, due, tre volte prima di arrivare dove Fisher vuole che si arrivi, per far emergere le connessioni passato/presente e procurarsi la chiave interpretativa corretta.
Il post punk 2.0 di Death March, la Motown rumorosa della title track, i clangori industriali della conclusiva The Cycle/The Spiral: Time To Go Down Slowly, la sepolcrale strumentale Bury Me Standing, il groviglio di noise e hardcore di Animals, sono le motrici di un album che è al tempo stesso sguardo critico al passato e proiezione al futuro, tanto dal punto di vista strettamente musicale quanto lirico e concettuale. Fare meglio dell’esordio era una missione veramente proibitiva ma, complice l’esperta mano di Adrian Utley (Portishead) alla produzione, gli Algiers ci sono riusciti nel miglior modo possibile, sfornando un altro lavoro a dir poco significativo.
(2017, Matador)
01 Walk Like A Panther
02 Cry Of The Martyrs
03 The Underside Of Power
04 Death March
05 A Murmur. A Sign.
06 Mme Rieux
07 Cleveland
08 Animals
09 Plague Years
10 A Hymn For An Average Man
11 Bury Me Standing
12 The Cycle/The Spiral: Time To Go Down Slowly
IN BREVE: 4,5/5