Lo sfondo ardesia sul quale si staglia, spoglio, un cuore con vene ed aorta recise simboleggia la densa e cupa tristezza che ha avvolto la band a ridosso della prematura (ma forse anche prevedibile) fine di Layne Staley. Questo ritorno è dedicato alla sua memoria. Ci asteniamo però ben volentieri dall’allungare il sugo di questo articolo coi soliti coccodrilli retrologici di una noia mortale riguardo il valore passato degli Alice In Chains, su quanto al mondo del rock la loro musica decadente ha dato, sul decantare una delle voci più espressive e depressive degli anni novanta. In giro ci sono fiumi di parole a riguardo. Qui si parla di Black Gives Way To Blue, album che a quattordici anni dall’ultima prova in studio dell’adesso rinnovato four-piece di Seattle ne segna il ritorno definitivo sulle scene. Certo, ci sarebbe da aprire una piccola discussione sulla veracità degli intenti del trio Inez-Kinney-Cantrell, con quest’ultimo sotto processo per il presunto “sfruttamento” per fini economici di un nome che, vista l’estinzione della sua anima vocale storica, sarebbe potuto restare relegato lì, ad un capitolo chiuso della storia. Questo dubbio sorge soprattutto a ridosso dell’ascolto dell’intero album, dove non è affatto difficile scorgere la mano del Cantrell solista, quello affogato nella nebbia di “Degradation Trip”: ne sono una prova inopinabile la struttura delle canzoni, le atmosfere e certe melodie (ma è un po’ un circolo vizioso: già quella roba veniva in gran parte dalla band-madre). Ma queste sono considerazioni da fan prima ancora che da (presunto) critico che si pone al cospetto di un disco. Quindi va detto che, rispetto al non esaltante ritorno dei Pearl Jam giusto in questo stesso mese di settembre (e non me ne voglia il sempre eccellente collega Riccardo Marra), quello degli Alice In Chains è un come-back qualitativamente oltre le aspettative. Musica fortemente umorale che, come da trademark, tende a scendere i gradini di una scala cromatica che non parte di certo da colori vispi, bensì dal grigio per penetrare fin dentro il midollo del nero e sbiadirsi lentamente verso il blu. E non è un caso che si parli di blu nel titolo, tinta prediletta del mal di vivere. Lì dove la ghiaia scricchiola al dolore dei passi lenti di All Secrets Known fa subito da contraltare il riff teso come una corda d’acciaio di Check My Brain, pezzo che riverbera con solenne dignità i fasti di “Dirt”, così come la successiva Last Of My Kind. Qualcuno si sarà domandato come mai, finora, non si è fatta menzione del nuovo arrivato dietro il microfono, William DuVall. In verità il suo ingresso in formazione non ha segnato chissà quali stravolgimenti stilistici e, tanto meno, la sua presenza sia un quid per la riuscita del disco. Cantrell si prende la briga di cantare praticamente in ogni brano (oltre a detenere come sempre le chiavi della composizione), in parte oscurando la partecipazione del nuovo cantante, che per certi versi lo si potrebbe considerare alla stregua di una comparsa o di una perenne seconda voce. Il tempo passato non ha di certo scalfito l’indole bucolica di certo rock imparentato col southern (Your Decision) o fatto sbiadire le chiazze di malinconia pastello dai contorni confusi, proprio come le si vedeva in alcuni passaggi del bellissimo album eponimo del ’95 (Private Hell). Luccicano in lontananza gli incanti di “Jar Of Flies” in When The Sun Rose Again, ed è tetro il metallico ruotare degli ingranaggi che spingono A Looking In View (con uno dei refrain più belli del lotto), già conosciuta prima dell’uscita dell’intero album. Lesson Learned viene da “Degradation Trip” di Cantrell in maniera troppo evidente. Si segnala la presenza di Elton John al pianoforte nella mestizia che cola tra le pareti della title-track, una crepuscolare istantanea dagli angoli consunti dal tempo resuscitata da cassetti della memoria mai chiusi. Oltre i più fiduciosi pronostici “Black Gives Way To Blue” rivela ascolto dopo ascolto la decadente bellezza dei fiori che costeggiano i sentieri di un giardino rimesso a nuovo dopo anni di abbandono. Tornare nel luogo doloroso in cui tanti ricordi ancora pulsano come carne viva può spingere qualche lacrima a venir fuori, ma la vita continua, e non è solo una frase fatta. Onore agli Alice In Chains che sono tornati fra noi. Con Layne Staley e le sue angosce custodite in un cuore sospeso nel buio.
(2009, Virgin / Emi)
01 All Secrets Known
02 Check My Brain
03 Last Of My Kind
04 Your Decision
05 A Looking In View
06 When The Sun Rose Again
07 Acid Bubble
08 Lesson Learned
09 Take Her Out
10 Private Hell
11 Black Gives Way To Blue
A cura di Marco Giarratana