Non abbiamo mai fatto mistero dell’ammirazione che nutriamo nei confronti di quella metà dei Dresden Dolls che risponde al nome di Amanda Palmer. La sua voce mutevole e ricca di sfumature, il suo essere regina dell’intrattenimento sul palco e migliore amica durante le interviste, sono peculiarità che non possono non farla amare. E anche – soprattutto – in “Who Killed Amanda Palmer” (2008) ha dimostrato come nella dimensione solista può rendere persino meglio, libera dagli schemi di una band, seppur atipica, libera di proporre e proporsi, lasciando scorrere il fiume in piena delle sue doti compositive. Ed è forse questa libertà che oggi, però, la porta a pubblicare questo Amanda Palmer Goes Down Under, un lavoro che risulta sinceramente difficile da inquadrare. Non un album d’inediti, non uno di cover, non un live, non una raccolta, quanto piuttosto un’accozzaglia di materiale pescato qua e là fra gli scatoloni di registrazioni che, siamo sicuri, Amanda avrà messo da parte durante l’ultimo periodo. Brani che, presi in considerazione singolarmente o inseriti nel contesto giusto, magari avrebbero finito per convincere. Sarebbe bastato “vestirli” nel modo corretto e abbinare i colori, e invece in “Goes Down Under” ciò non accade. Gli estratti dal vivo puntano sulle risate e sull’aspetto più cabarettistico delle esibizioni della Palmer, lasciando poco spazio alla musica vera e propria (peraltro non particolarmente ispirata). Le tracce in studio, invece, palesano tutto l’approccio amatoriale con cui – desumiamo volutamente – sono state prodotte: vedi In My Mind, delicata prova folkeggiante, corde pizzicate e voce, che nella mediocrità generale si fa comunque apprezzare. Nessun commento, invece, sulla tamarrissima Map Of Tasmania, di cui si fatica davvero a comprenderne il senso, valutabile come nient’altro che un divertissement, un esercizio di stile col quale Amanda si/ci prende in giro. Non un solo filo conduttore collega fra loro le tracce di “Goes Down Under”, fatta eccezione per il minimo comune multiplo oceanico: ogni tassello dell’album, infatti, ha i suoi natali nel nuovissimo continente, circostanza facilmente intuibile anche dai titoli di alcuni brani, nonché dalla copertina in cui la Palmer indossa uno slip raffigurante la bandiera oceanica. Ma, tutto ciò, quanto ha a che fare con la musica? Poco, pochissimo.
(2011, Liberator Music)
01 Makin’ Whoopie
02 Australia
03 Vegemite (The Black Death)
04 Map Of Tasmania (feat. The Young Punx)
05 In My Mind (feat. Brian Viglione)
06 Bad Wine And Lemon Cake (feat. The Jane Austen Argument)
07 New Zeland
08 On An Unknown Beach
09 We’re Happy Little Vegemites
10 Doctor Oz
11 Fromidable Marinade (feat. Mikelangelo & Lance Horne)
12 The Ship Song
A cura di Emanuele Brunetto