Senza nulla togliere all’apporto di Brian Viglione, si era avuto fin dagli esordi della band il sentore che, all’interno dei Dresden Dolls, gli equilibri non fossero proprio ben livellati. A sfavore del batterista, ovviamente. Perché Amanda Palmer è sempre apparsa come quel quid in più fondamentale per l’emersione del duo di Boston, la più spigliata della coppia, la vera regina delle teatrali performance dal vivo. Ma, fino a prova contraria, per quanto se ne sapeva le dinamiche compositive potevano anche avere risvolti differenti nell’intimità dello studio di registrazione, e magari vedere il “povero” Brian se non in primo piano quantomeno non relegato a comparsa. Bene, la prova contraria adesso è giunta ed ha un nome, Who Killed Amanda Palmer, titolo di lynchiana memoria (mutuato da quel “Chi ha ucciso Laura Palmer?” tormentone della serie televisiva “Twin Peaks”, un cult degli anni ‘90) per l’esordio in solitario dell’eclettica metà femminile delle Bambole di Dresda. Il filo conduttore dell’intero lavoro è – com’era prevedibile – il pianoforte, strumento principe di Amanda, appendice dei suoi arti superiori, dolcissimo, delicato, che solo a tratti prende coscienza di sé e delle proprie potenzialità per liberarsi in folate intense come quelle che sorreggono le foglie secche d’autunno. Vedi la traccia d’apertura Astronaut, un po’ il manifesto dell’album con quel piano scrosciante vero e proprio marchio di fabbrica della Palmer. Mancando l’accompagnamento ritmico di Viglione, Amanda si concentra dunque su altri elementi: le sessioni d’archi di Runs In The Family (in cui fanno capolino anche accenni di elettronica), i fiati jazzistici di Leeds United, la nenia da carillon di Blake Says, l’andamento marziale di Have To Drive ed i coretti e battimani che sanno tanto sixties di Oasis. Protagonista assoluta, poi, la voce della Palmer che, come nei Dresden Dolls, intervalla acuti altissimi a sussurri appena bisbigliati, arrivando persino ad una prova vocale (quasi) da soprano in What’s The Use Of Wondrin. Il segno di continuità più marcato col lavoro della band, invece, è costituito dalla stupenda ballata Ampersand, tremendamente somigliante a “Delilah”, piccolo capolavoro contenuto in “Yes, Virginia” (2006), mentre dopo un saliscendi di emozioni che attraversa tutto il lavoro, la chiusura è affidata ad Another Year, il brano più malinconico dell’album che ci ricorda come Amanda abbia pur sempre un’indole intimistica nascosta dietro la facciata da cabaret brechtiano. “Who Killed Amanda Palmer” ha, in definitiva, il gran merito di recidere l’ultimo cordone ombelicale che legava Amanda alla dimensione band, proponendo un’artista a 360° che non delude sotto nessun punto di vista.
Nota: fra le molteplici collaborazioni cui ha dato vita Amanda Palmer per questo lavoro, è opportuno citare la produzione affidata a Ben Folds, il violoncellista Zoe Keating, Annie Clark dei St. Vincent, East Bay Ray dei Dead Kennedys ed il compositore Paul Buckmaster.
(2008, Roadrunner Records)
01 Astronaut
02 Runs In The Family
03 Ampersand
04 Leeds United
05 Blake Says
06 Strength Through Music
07 Guitar Hero
08 Have To Drive
09 What’s The Use Of Wondrin
10 Oasis
11 Point Of It All
12 Another Year
A cura di Emanuele Brunetto