Si amano profondamente Reri e Matahi: due amanti giovani e belli immersi nella natura perfetta e rigogliosa del paradiso di Bora Bora. Un amore però che viene presto interrotto: il villaggio sacrifica agli dei la verginità della ragazza e la bella Reri diventa un tabù, nessuno la può sfiorare, la sua bellezza è soffocata. Matahi non ci sta e la porta via dal villaggio per un lungo viaggio verso il recupero del paradiso perduto. Friedrich Wilhelm Murnau diresse il film “Tabù: A Story Of The South Seas” nel 1931 e fu per lui il testamento artistico prima di morire. Un film che il regista tedesco decise di mantenere “muto” anche se il sonoro era già stato inaugurato anni prima. Quasi ottant’anni dopo Amaury Cambuzat, anima degli Ulan Bator, riempie il vuoto sonoro con The Sorcerer, suo primo disco da solista e sorta di soundtrack immaginaria delle vicende di Reri e Matahi. Cos’hanno in comune Cambuzat e Murnau? Entrambi hanno vissuto l’indipendente come forma irrinunciabile di espressione (Amaury con gli Ulan Bator e con i Faust, il regista con la piccola casa di produzione fondata per scappare dai vincoli di Hollywood); entrambi s’impastano le mani con opere sperimentali; tutti e due sono innamorati del “nero” inteso come pessimismo che è materia artistica se ben indirizzato. E dunque Cambuzat con “The Sorcerer” realizza un disco che ricalca le atmosfere da “paradiso perduto” messe in immagini da Murnau, con tredici tracce sonore che sono il fragore di una storia che finisce male, di uno strappo, quello tra Reri e Matahi, che non si ricomporrà mai. Ma soprattutto è la colonna sonora di un’assurdità, quella rappresentata dalla superstizione del capotribù-stregone Hitu (il “The Sorcerer” del titolo?) reo di aver spezzato un amore a causa di un dogma cieco e ignorante (mai tema fu più moderno). Ma veniamo alla musica. Cambuzat, lo si è già detto, è uno sperimentatore. Se in passato ha preso il rock e lo ha dilatato per farlo psichedelia, deformato per farlo post-rock e martoriato nel rituale vudù degli ultimi Faust, con “The Sorcerer” si affida piuttosto all’elettronica. Le suite sono allora la buona scusa per mischiare suoni sintetici ed eco tribali (quelli di Bora Bora), chitarre sgualcite e tastiere gelide, rumori meccanici e feedback di sei corde. Il risultato, tuttavia, convince solo in parte. Perché? Perché Amaury è più scuro delle stesse intenzioni di Murnau, perché i suoi suoni spaziali e algidi non riescono a richiamare esattamente la tragedia sentimentale di Reri e Matahi raccontata nel film, perché insomma non mostra la caratteristica principale (e migliore) della sua musica: il balzo umorale, il volo emotivo, la palpitazione ansimante ma per questo coinvolgente. E’ più un volo d’avanguardia personale, una scusa per abbandonarsi alla realtà virtuale delle sue intuizioni di suono. Un disco coraggioso e sferzante se considerato come lab personale di Amaury, forse troppo d’atelier per incollarsi alle immagini.
(2010, Acid Cobra / DeAmbula)
01 South-Seas
02 Voodoo Doll
03 The Rope
04 The Sorcerer (theme)
05 La Nuit
06 Palm Trees
07 Tropical Waves
08 The Pearl
09 Romanticism
10 Money
11 The Sorcerer (part. 2)
12 Shaman’s Malediction
13 Tabù
A cura di Riccardo Marra