E’ rimasto per quasi un mese in quell’angolino a prendere polvere e a subire l’azione delle intemperie e quando l’ho sottratto dall’impellente oblio era già troppo tardi: la top 5 del 2012 era già nelle grinfie del caporedattore, pronta per esservi rivelata, cari seguaci de Il Cibicida. Ma ammetto che un posto tra i 5 privilegiati dai miei padiglioni auricolari, il nuovo album degli Amenra se lo sarebbe guadagnato. Anzi, se l’è guadagnato. Per non smentire il detto meglio tardi che mai, mi godo queste quattro tracce di sulfureo e maligno post-core.
Muovendosi con andatura slabbrata in un’atmosfera cimiteriale, in accordo con la migliore tradizione del funeral doom, i belgi Amenra raggiungono l’ennesimo vertice compositivo in una carriera pressoché impeccabile. Sì, perché ad ogni uscita (e i più perspicaci intuiranno che si chiamano tutte “Mass” seguite da un numero romano) il quintetto fiammingo sposta più in là i propri confini creativi, annegando in un suono che è incarnazione di puro malessere ed esplorazione delle tenebre. Musica che è flusso umorale che si abbevera alle sorgenti dell’esoterismo e vibra nell’aria tra riffing monolitico e rarefazioni che lambiscono la dark ambient.
L’interpretazione di Colin H. Van Eeckhout è straziante e feroce ed è circonfusa dall’energia nera che il resto della cricca emette. Parlare di questo o quel brano, per opere post-hardcore in cui la dimensione-disco è fondamentale, non serve a granché. Tutto Mass V ha quel tono ieratico indispensabile al genere. Se poi volete che sottolinei certi dettagli, be’, non posso non elogiare A Mon Ame, dal prologo con la distante voce che semina liturgiche scie di riverberi per poi sfociare in esplosioni che poi si inabissano, in un ciclico andirivieni di orrore e ricerca di redenzione. O la tenebra fibrosa che avvolge come una ragnatela Boden, che ricorda moltissimo la catarsi dei superbi Cult Of Luna (tra l’altro, prossimi al ritorno).
“Mass V” è davvero un lavoro superlativo, dal fascino oscuro emanato dalla fiamma malvagia che arde tra queste note. Ormai storcere preventivamente il naso di fronte a un genere spremuto come un limone da frotte di band-cloni che si sono accodate al trend alternativo più significativo degli anni Zero è quasi un gesto spontaneo, ciononostante vengono ancora fuori esempi interessanti come questo. Non rivoluzionario, ma intriso di un’intensità comunicativa che colpisce fino in fondo. Ma poi, si deve per forza essere innovativi ad ogni uscita? Ma stigrancazzi, mi viene da dire.
(2012, Neurot)
01 Dearborn And Buried
02 Boden
03 A Mon Ame
04 Nowena | 9.10