Diciamolo: ogni brava ragazza “xennial” che si rispetti ha covato, almeno una volta nella vita, il desiderio di essere come Ani DiFranco: magnetica, indipendente, rivoluzionaria, sensuale, dannatamente talentuosa e anti conformista. Con all’attivo decine di album in studio, riesce ancora a produrre suoni e parole di altissima qualità, saltellando dal folk al funk, al soul, al jazz con una facilità disarmante.
Binary è il suo ventesimo lavoro, ispirato alla filosofia del Yin e Yan (icona orientale dell’interconnessione) e arrivato subito dopo una serie di eventi personali e collettivi che hanno influenzato non poco la sua realizzazione, a partire dall’ascesa al potere di Biff (ops… Donald Trump) che la cantautrice, fautrice di un percorso femminista iniziato appena adolescente, ritiene altamente pericoloso. A parte il carattere spiccatamente politico dell’album, Ani DiFranco è cresciuta: è donna e madre e sposta l’attenzione da se stessa per concentrarsi sul piacere di diffondere il potere della condivisione, la meraviglia dell’accettazione del diverso, il potere dell’accoglienza in ogni sua forma.
Ed è proprio sul bisogno di condivisione che girano attorno tutte le tracce dell’album, a iniziare da Binary, la title track, una riflessione amara sull’isolamento e la carenza di rapporti umani condito da un groove funk “semplice semplice, per renderlo meno noioso durante la performance”, come ha precisato lei stessa. Musicalmente, ogni traccia dell’album rispecchia perfettamente il carattere indipendente della cantautrice, che sperimenta, cambia, mescola stili e generi anche grazie alla complicità di nuove e vecchie amicizie, scelte con cura, con la chiara intenzione di contaminare “Binary”, rendendolo quanto più elegante, sincopato e cangiante possibile.
Così, mentre Maceo Parker (uno a caso che di sax se ne intende) si diletta a donare a Binary quel groove “semplice semplice” di cui sopra, Justin Vernon contribuisce a dare quel tocco di gelo à la Bon Iver ai backing vocals di Zizzing, che insieme alla sensualità di Ani DiFranco è una perfetta sintesi narrante l’ascesa e la fine di un rapporto. Impossibile non soffermarsi su Terrifying Sight, una potenza multistrato a base di organo, chitarra, synth, pandeiro e backing vocals di Gail Ann Dorsey (ex bassista di David Bowie) che raccoglie in cinque minuti scarsi una complessità di suoni e ritmi imbarazzanti. Il tutto mixato sapientemente dalle dita di Tchad Blake, che regala all’album un tocco finale di ipnosi conturbante.
A costo di sembrare ridondanti, Ani DiFranco si conferma a tutt’oggi tra gli artisti più grandi del nostro tempo, con una caratteristica che le permette di non soffrire minimamente la pochezza sociale e culturale tipica dei tempi recenti: semplicemente, se ne frega.
(2017, Righteous Babe)
01 Binary
02 Pacifist’s Lament
03 Zizzing
04 Play God
05 Alrighty
06 Telepathic
07 Even More
08 Spider
09 Sasquatch
10 Terrifying Sight
11 Deferred Gratification
IN BREVE: 4/5