Il superamento del confronto con PJ Harvey è, ancora oggi, l’obiettivo non dichiarato di qualsiasi ragazza decida di votare la propria vita artistica all’elettricità di una sei corde. Praticamente nessuna, finora, è riuscita nell’impresa di azzerare la distanza con la Musa inglese, dando a sua volta vita a un nuovo termine di paragone. Appena in due, però, si sono quantomeno avvicinate al risultato: la prima è senza dubbio St. Vincent. Annie Clark s’è fatta portavoce di nuovi messaggi, di un modo al tempo stesso sfacciato e sofisticato di approcciarsi alla sessualità e alle problematiche al femminile, evolvendosi anche dal punto di vista musicale verso territori sintetici. L’altra è, anche qui con pochi margini d’errore, Anna Calvi. Una discografia meno corposa della Clark, è vero, ma non per questo meno significativa, un po’ Nick Cave, un po’ David Bowie, un po’ PJ Harvey, certo, ma tanto, tantissimo e sempre più se stessa.
I cinque anni intercorsi tra il precedente “One Breath” (2013) e questo Hunter sono stati anni di cambiamento per la Calvi, innanzitutto per il trascorrere stesso del tempo che porta con sé consapevolezza della propria dimensione umana, scoperta o riscoperta di passioni sopite e voglia/necessità di focalizzarsi sugli aspetti davvero importanti della propria esistenza; e poi anche dal punto di vista privato, con una relazione finita dopo molto tempo e un’altra appena nata da esplorare. Ed è così che Anna si è fatta cacciatrice come sinonimo di libertà: il cacciatore sceglie quando uscire per una battuta, sceglie la preda da colpire, sceglie il momento adatto per fare fuoco e, da ultimo, sceglie cosa farne una volta abbattuta.
Ecco, in “Hunter” la Calvi segna la sua strada in maniera decisa e sceglie di non scegliere, di non doversi necessariamente incastrare in forme precostituite di genere (uomo o donna, che differenza fa, lei in Chain recita tutte e due le parti e in As A Man reclama il diritto di agire, se e quando lo vuole, proprio come un uomo), di non doversi dividere tra amore e sesso (in Wish s’impossessa con ferocia di entrambe le cose), di poter essere vittima e carnefice al contempo, in una dualità prepotente ben rappresentata dal progressivo susseguirsi delle tracce (leggetevi per intero il testo di Alpha per capire di cosa stiamo parlando). Anna sceglie di avere tutto, di poter avere tutto.
Poi c’è l’aspetto prettamente realizzativo del disco e lì, come sempre, si toccano apici in cui le potenzialità della Calvi si sublimano. In primis occorre parlare della voce, di cui Anna pare avere sempre più piena cognizione, cambiando registro più volte anche all’interno dello stesso pezzo, tornando così alla dualità di cui sopra e alle contrapposizioni fuoco/ghiaccio, rosso/nero, sporcizia/pulizia che fin dall’omonimo debutto del 2011 si porta dietro (in Swimming Pool, al centro dell’album, l’estasi prende corpo). E poi il suo consueto gran lavoro alla chitarra e il non indifferente apporto di musicisti di spessore come Adrian Utley dei Portishead (che dà profondità con le sue tastiere) e Martyn Casey dei Bad Seeds (che con il suo basso marca ulteriormente una sezione ritmica già potente), oltre agli altri membri della sua band che già da tempo l’accompagnano.
Alla fine dei quasi quarantacinque minuti di “Hunter”, così, ci troviamo al cospetto di un lavoro in cui Anna Calvi riesce a far convivere le sue molteplici nature e propensioni, fregandosene di poter apparire a tratti presuntuosa nelle sue pretese decisionali, forte e aggressiva come un uomo, sensibile e sensuale come una donna, semplicemente meravigliosa nel suo dirompente espressionismo sonoro.
(2018, Domino)
01 As A Man
02 Hunter
03 Don’t Beat The Girl Out Of My Boy
04 Indies Or Paradise
05 Swimming Pool
06 Alpha
07 Chain
08 Wish
09 Away
10 Eden
IN BREVE: 4,5/5