Per l’album più atteso dell’anno – l’iper-pubblicizzato Reflektor dei canadesi Arcade Fire – ho stoicamente aspettato l’uscita ufficiale del disco anziché affidarmi ai vari streaming che giravano già da qualche giorno, perché (al di là dell’innegabile e morboso fascino del prodotto originale) nell’era del multitasking perenne era doveroso un primo ascolto attento ed approfondito. Basta tweet, video interattivi (vedi la title track e singolo di lancio), anteprime (vedi Afterlife) e diavolerie d’ogni sorta: parla la musica.
Il breve lasso di tempo nel quale tutti avevano già ascoltato “Reflektor” a parte il sottoscritto, nella sua beata e totale ignoranza, è stato utile per leggere online tante opinioni, fra le quali era impossibile non notare un’inquietante comunanza di fondo: dopo i comprensibili timori reverenziali (siamo pur sempre di fronte alla band più importante dell’ultimo decennio) le critiche al quarto album di Win Butler e famiglia erano pressoché unanimi, anche se mal giustificate da argomentazioni poco convincenti.
Invece, sapendo prendere quest’album per quello che è, gli Arcade Fire risultano promossi a pieni voti. Se con i precedenti lavori i canadesi avevano tracciato un meraviglioso cerchio, chiusosi con l’ottimo “The Suburbs”, qui si va oltre, recidendo parecchi legami col passato. Una rivoluzione soft (ben diversa da quella violenta attuata dai Radiohead con “Kid A” dopo i fasti radiofonici di “OK Computer”), ma pur sempre una rivoluzione.
Le atmosfere bucoliche e sognanti di “Funeral” e “Neon Bible” sono un lontanissimo ricordo e fanno spazio a qualcosa di totalmente inedito. «Un mix tra Voodoo e Studio 54», diceva Win Butler qualche settimana fa. Una grandissima porcheria, pensavo io. Invece – grazie anche alle sapienti mani di James Murphy, frontman degli LCD Soundsystem – questo sound eterogeneo e spiazzante funziona miracolosamente, proiettando il disco e l’ascoltatore in una magica e meravigliosa dimensione senza tempo.
Una volta tanto sono finalmente le canzoni a essere al servizio dell’album e non più mere singole esecuzioni, anche se di certo i momenti superlativi non mancano: Joan Of Arc parte addirittura come un violento punk-hardcore per poi trasformarsi in un’irresistibile ballata glam di glitteriana memoria. Al contrario, la decadente melodia della meravigliosa Porno inizia piano (quasi sommersa dai sintetizzatori) per poi riemergere al momento del ritornello in tutta la sua emozionante e delicata bellezza.
Normal Person, invece, ci regala uno dei migliori riff dell’anno e avrebbe anche meritato un finale meno strozzato. E’ vero, pesa l’assenza di un brano/manifesto come lo sono stati in passato “Rebellion (Lies)” o “The Suburbs”, ma mancano anche le noiose tracce vittime del tasto skip che di tanto in tanto facevano capolino nei precedenti lavori della band. “Reflektor” è dunque un album fiero manifesto di se stesso, serio candidato a migliore lavoro in studio del 2013. Lunga vita agli Arcade Fire!
(2013, Merge)
– Disco 1 –
01 Reflektor
02 We Exist
03 Flashbulb Eyes
04 Here Comes The Night Time
05 Normal Person
06 You Already Know
07 Joan Of Arc
– Disco 2 –
01 Here Comes The Night Time II
02 Awful Sound (Oh Eurydice)
03 It’s Never Over (Oh Orpheus)
04 Porno
05 Afterlife
06 Supersymmetry