Home RECENSIONI Arthur Buck – S/T

Arthur Buck – S/T

Non provo nessun brivido particolare nello stroncare un album, e questo a prescindere se l’artista in questione si possa considerare più o meno grande come nel caso di questo duo denominatosi Arthur Buck e composto da Peter Buck degli R.E.M. e il suo pupillo Joseph Arthur, classe 1971, scrittore di canzoni nato a Akron in Ohio e per molti anni (almeno fino alla doppietta “The Ballad Of Boogie Christ” atto uno e due) uno dei cantautori più interessanti nel panorama americano contemporaneo.

Il rapporto di amicizia e di stima va avanti da molti anni, Joseph Arthur è stato in tour con gli R.E.M. prima dello scioglimento della band, ma in generale i due sono regolarmente in contatto e le loro strade si incrociano di frequente. Così è successo alla fine dello scorso anno, quando si sono incontrati per caso in Messico e hanno scritto di getto le prime canzoni che poi sono entrate a fare parte di questo album registrato presso i Type Foundry Studio di Portland, nell’Oregon, con la produzione dello stesso Arthur e il mixing di un big come Tchad Blake.

Trattandosi di due nomi sicuramente conosciuti e molto popolari (in particolare, manco a dirlo, quello di Peter Buck) le aspettative nei confronti di questo disco da parte dei fan storici della band di Athens saranno sicuramente molto importanti e, in generale, potrebbero non essere disattese per chi ha una devozione particolare per gli R.E.M. come nei confronti di Peter in particolar, avendone apprezzate anche le uscite degli ultimi anni.

Ma la qualità complessiva dell’album è sinceramente scadente. Questa, però, non vuole essere tanto una critica a Peter Buck oppure al suo compagno di viaggio, quanto una considerazione sulla poca ispirazione sul piano complessivo della coppia: Arthur Buck (il disco porta lo stesso nome del progetto) è un disco ispirato a un certo alternative rock americano innocuo e privo di mordente, che potrebbe farvi sembrare in qualche modo rivoltosi persino i Wilco più placidi. Basta ascoltare canzoni come la ballad rock blues The Wanderer per rendersi conto della fiacchezza del disco, senza menzionare momenti francamente imbarazzanti come Before Your Love Is Gone, Wide Awake In November oppure soluzioni accattivanti che mi hanno fatto pensare all’ultimo disco di Noel Gallagher come Are You Electrified?, If You Woke Up In Time, Forever Falling.

I pezzi più convincenti, allora, sono probabilmente quelli più semplici: le ballate folk rock I Am The Moment e Forever Waiting, il power pop di American Century e la conclusiva Can’t Make It Without You, la migliore canzone del disco che lascia un po’ di rimpianti per quello che questa collaborazione avrebbe potuto essere. Oppure no. In fondo non sempre lo “stile” corrisponde con quella che si può definire “classe” e, sebbene questa ai due non manchi (ci basiamo sulla storia della loro produzione), in questo caso specifico ci avviciniamo più alla prima definizione che alla seconda e allora il giudizio non può che essere insufficiente.

(2018, New West)

01 I Am The Moment
02 Are You Electrified?
03 The Wanderer
04 Forever Waiting
05 If You Wake Up In Time
06 Summertime
07 American Century
08 Forever Falling
09 Before Your Love Is Gone
10 Wide Awake In November
11 Can’t Make It Without You

IN BREVE: 1/5

Emiliano D'Aniello
Sono nato nel 1984. Internazionalista, socialista, democratico, sostenitore dei diritti civili. Ho una particolare devozione per Anton Newcombe e i Brian Jonestown Massacre. Scrivo, ho un mio progetto musicale e prima o poi finirò qualche cosa da lasciare ai posteri. Amo la fantascienza e la storia dell'evoluzione del genere umano. Tifo Inter.