Non è affatto facile essere gli Ash. Il trio nordirlandese è in circolazione ormai da oltre venticinque anni, viaggiando da sempre secondo un unico, proprio e costante stile musicale. Circostanza che ha senso di esistere (per tutti, non limitatamente agli Ash) solo a fronte della presenza di un songwriting brillante, cosa che purtroppo non era accaduta nel precendente “Kablammo!” del 2015, album peggiore nella discografia di Wheeler e soci.
Il discorso migliora parzialmente con questo Islands, lavoro che senza troppi giri di parole va preso per ciò che è: gli Ash continuano a zoppicare ma, al contempo, riescono nuovamente a infilare una manciata di ottimi brani, inseriti all’interno di una setlist che altrimenti rischierebbe di risultare piatta e noiosa.
È questo il caso del pop danzereccio di Confessions In The Pool o della finale Incoming Waves, forte di un ottimo ritornello e di sorprendenti esplosioni chitarristiche à la Sigur Rós. Il resto dell’album, invece, anche se a tratti si fa apprezzare (vedi la punkeggiante Buzzkill o Is It True?) non graffia mai come dovrebbe e come gli si richiederebbe, ripetendosi e riavvolgendosi continuamente su se stesso, con troppe canzoni ripetitive che finisco per essere vittime del tasto skip.
“Islands” rimane comunque un buon passo avanti per gli Ash dopo il pessimo album precedente, un parziale ritorno agli standard qualitativi che competono ai tre di Downpatrick: ci sono – come detto poco sopra – un paio di brani che meritano di essere ascoltati e riascoltati. Un po’ poco, forse, ma visti i recenti intoppi, tutto sommato può anche andare bene così.
(2018, Infectious)
01 True Story
02 Annabel
03 Buzzkill
04 Confessions In The Pool
05 All That I Have Left
06 Don’t Need Your Love
07 Somersault
08 Did Your Love Burn Out?
09 Silver Suit
10 It’s A Trap
11 Is It True?
12 Incoming Waves
IN BREVE: 2,5/5