Quel 15 agosto del 2012 ha lasciato le sue indelebili cicatrici. Il tour-bus che deraglia sull’asfalto viscido nei pressi di Bath in Inghilterra, ossa rotte per band e crew, un tour che salta proprio quando la formazione di Savannah si sta esponendo a un pubblico più vasto. Poi mesi di riabilitazione e la dipartita dell’intera sezione ritmica (Matt Maggioni al basso e Allen Brickle alla batteria), eppure John Baizley non si dà per vinto, mette su una formazione che possa affrontare nuovi live e a metà 2013 la macchina Baroness si rimette in moto tra U.S.A. ed Europa.
Le premesse per Purple stanno tutte qui, in un periodo pieno di ombre che nonostante tutto non genera un album disperato. Abbandonata la Relapse, i Baroness battezzano la propria label Abraxan Hymns con un lavoro che segna un netto miglioramento rispetto al molle e dispersivo “Yellow & Green” di tre anni fa, mettendo a fuoco un songwriting che iniziava a mostrare crepe.
Sebbene le parti strumentali abbiano riacquistato una certa potenza, l’handicap maggiore del gruppo rimane però la voce di Baizley. Vista la svolta melodica intrapresa, il frontman è inadeguato a rivestire il ruolo di cantante: le voci sono tutte a dinamiche sparate e difettano di estro creativo risultando qua e là alquanto prevedibili, oltre a essere cariche di armonizzazioni che appesantiscono l’ambiente sonoro.
Eppure gli spunti interessanti non latitano, anche se il debito ai Mastodon è pagato con interessi ingenti (Morningstar sembra saltare fuori da “The Hunter”, Desperation Burns e Kerosene altrettanto): ci sono riff ficcanti, gli intarsi melodici arricchiscono gli arrangiamenti (Try To Disappear) anche se ogni tanto sfociano in barocchismi superflui (Chlorine & Wine). Fa la sua elegante figura anche l’accorata e dolente If I Have To Wake Up (Would You Stop The Rain?), ballad dal refrain anthemico che dimostra come i Baroness siano cresciuti rispetto a “Yellow & Green”.
Con una vena anni Settanta screziata qua e là da timidi accenti psichedelici, “Purple” mostra canzoni più muscolari ma tenute sempre a bada dalla costante ricerca di un ritornello catchy che si memorizzi in fretta. Non ci sono ancora i frutti sperati, soprattutto per la mancanza di un cantante degno del ruolo, ma pare evidente che i Baroness siano sulla strada giusta per calibrare al meglio gli equilibri.
(2015, Abraxan Hymns)
01 Morningstar
02 Shock Me
03 Try To Disappear
04 Kerosene
05 Fugue
06 Chlorine & Wine
07 The Iron Bell
08 Desperation Burns
09 If I Have To Wake Up (Would You Stop The Rain?)
10 Crossroads Of Infinity
IN BREVE: 3,5/5