A tre anni di distanza dal precedente “Two Suns”, torna sulle scene con il nuovo The Haunted Man Bat For Lashes, con il non semplice compito di confermare le aspettative alimentate da un ottimo sophomore album e, ancor prima, dal sorprendente e acclamato debut “Fur And Gold” (del 2006). Poche, rapide premesse per i neofiti. Si parla di, e non dei Bat For Lashes, dal momento che dietro tale “stage name” si cela di fatto la sola Natasha Khan, cantautrice e polistrumentista anglo-pakistana di Brighton, mente unica e titolare al 100% del progetto. Per quanto riguarda le sonorità su cui si basa la sua proposta musicale, difficile è fornire etichette univoche e incontrovertibili, per un act indubbiamente originale, versatile ed eclettico; si potrebbe parlare di dream pop, di atmosfere vagamente dark, di cantautorato, di synth pop, di indie pop, di elettronica in varie declinazioni (indietronica, folktronica), ma nessuna di tali categorie restituirebbe in maniera del tutto adeguata ed esaustiva l’idea del sound di cui si va parlando. In questo senso, non è probabilmente un caso che, spesso, parlando di Bat For Lashes, si chiamino in causa nomi come quelli di Bjork e Kate Bush, artiste, oltre che di altissimo valore, difficilmente inquadrabili e definibili con categorie precise. L’uscita di questo nuovo album è stata preceduta da due singoli: Laura e All Your Gold. La prima è una splendida ballata pianistica in cui (caso unico in tutto “The Haunted Man”) non compaiono strumenti elettronici; pezzo di grande lirismo e intensità, potrebbe riportare alla mente un brano come “Moon And Moon” (del precedente “Two Suns”), salvo superarlo in forza e pathos. Il secondo singolo estratto gioca invece su atmosfere e sonorità differenti: basato su ritmiche trascinanti e coinvolgenti (sempre però con grande classe), impreziosito dalla presenza discreta degli archi, rientra a pieno titolo tra gli episodi migliori del repertorio più orecchiabile della Khan (una curiosità: non si può nascondere che, soprattutto all’inizio, il brano presenti più di un punto di contatto con il “tormentone” di Gotye “Somebody That I Used To Know”: auguriamo a Natasha e al pezzo in questione di averne la stessa fortuna commerciale!). Anche la canzone con cui si apre il disco, Lilies, si colloca su livelli di assoluta eccellenza: particolarmente efficace, in essa, il contrasto tra vocalità “dreamy” da un lato e, dall’altro, ritmiche e programmazioni elettroniche di forte impatto. Le successive Horses Of The Sun e Oh Yeah riflettono invece quella componente del sound Bat For Lashes che potremmo definire rituale, tribale, sciamanica, tra synth e percussività marcata, tra suoni moderni e forza ancestrale; arcana e molto suggestiva è anche Winter Fields, non lontana dalle atmosfere che dominavano in “Fur And Gold”. Tutto perfettamente riuscito in questo disco, quindi? In realtà non del tutto. Non entusiasma infatti particolarmente il tris The Haunted Man – Marilyn (in cui figura come ospite Beck, a synth, chitarra e programmazione) – A Wall, in cui toni ipnotici, trasognati e onirici lasciano emergere anche una qualche, parziale stanchezza, maniera e ripetitività; brani in cui si fa spazio un po’ di mestiere e di routine e che non riescono a incidere in maniera del tutto significativa. Molto, molto meglio fa Rest Your Head, pezzo decisamente più vivo, costruito benissimo e di immediata presa: potenziale singolo di ottimo impatto. La chiusura dell’album è affidata alla lunga Deep Sea Diver, brano suggestivo e atmosferico che culla l’ascoltatore portandolo alla conclusione del disco. Da questo lavoro emerge la fisionomia di una Khan/Bat For Lashes forse più attenta all’essenziale, più rigorosa, più severa, che comunque non perde le caratteristiche base del suo sound, sempre in grado di ammaliare l’ascoltatore (non a caso una delle canzoni di “Two Suns” si chiamava “Siren Song”) con brani inevitabilmente destinati a crescere con gli ascolti (e che, per questo, necessitano in ogni caso di un po’ di pazienza). Se, da un lato, si potrebbe parlare di evoluzione, di crescita e di maggiore maturità dell’artista, dall’altro si ha come l’impressione (o il timore) che con quest’opera Natasha si conceda meno, esprimendosi in maniera più criptica e riservata, mostrandosi meno espansiva e più introversa: così, chi già la conosce e l’apprezza continuerà certamente a dialogare con lei, proseguendo il discorso avviato con i precedenti album; ma difficilmente (almeno a parere di chi scrive) con “The Haunted Man” saprà aprirsi a nuove, vaste schiere di adepti. Cosa che comunque le auguriamo, dal momento che, anche con qualche difetto, questo resta un disco decisamente sopra la media e meritevole della massima attenzione.
(2012, Parlophone)
01 Lilies
02 All Your Gold
03 Horses Of The Sun
04 Oh Yeah
05 Laura
06 Winter Fields
07 The Haunted Man
08 Marilyn
09 A Wall
10 Rest Your Head
11 Deep Sea Diver
A cura di Davide Zanini