Quando pubblicavano il loro album d’esordio correva l’anno 1962. Prima dei Beatles, prima dei Rolling Stones, prima dei Doors e appena “coetanei” di un certo Bob Dylan. Insomma, i Beach Boys – che piacciano o meno – hanno segnato la storia della musica come pochi altri. Con le loro melodie accattivanti e baciate da quel sole californiano entrato ormai a far parte della mitologia, con quei cori divenuti loro marchio di fabbrica e punto di riferimento per decine di formazioni che da lì a poco avrebbero invaso le classifiche. Oggi siamo nel 2012, i ragazzi non fanno più uso solo di LSD e marjuana ma di ben più chimiche sostanze, di amore ce n’è poco tanto d’inverno quanto d’estate e sono trascorsi ben cinquant’anni da quel “Surfin’ Safari” del ’62 che diede inizio alla parabola dei ragazzi di spiaggia. E per celebrare le loro personalissime “nozze d’oro” Brian Wilson e soci ritornano sulle scene con questo That’s Why God Made The Radio, primi inediti a circa vent’anni di distanza dai precedenti. Cosa può aggiungere un gruppo di settantenni, oggi, al rock? Poco, verrebbe da dire, basandosi anche sulle esperienze di qualche altro “dinosauro” che non ne vuole proprio sapere di appendere la chitarra al chiodo… e non è che ascoltando “That’s Why God Made The Radio” si riesca a cambiare così facilmente idea. Ma se band di venticinquenni si permettono il lusso di essere ripetitive allo sfinimento, il minimo che si può fare al cospetto di colossi del genere è ascoltarli. Vuoi perché siamo pur sempre in estate e la loro musica si adatta alla perfezione. Vuoi perché un brano come la title track (e quindi l’album stesso) ha un titolo tanto banale quanto significativo, oltre ad un andamento che sembra uscito direttamente da quei fantastici anni ’60. Vuoi perché la freschezza di brani come From There To Back Again se la sognano anche ragazzini liceali chiusi in un garage a strimpellare. Vuoi perché atmosfere come quella della conclusiva Summer’s Gone (pienamente in linea col suo titolo, con tanto di pioggerellina finale a segnare l’addio alla bella stagione) non riesce a ricrearle nessun software ma solo un’indole come quella che loro, e solo loro, possiedono. Il songwriting di Brian Wilson appare asciutto e diretto come ai bei tempi e i già citati incroci di voci – che vedono Mike Love, Al Jardine e lo stesso Wilson sugli scudi – non sono stati affatto scalfiti dal trascorrere delle decadi. Trentanove minuti scarsi per un album che – sorvolando sulle sottintese motivazioni commerciali – ha il merito di rinverdire la leggenda dei Beach Boys senza togliere un grammo al loro prestigio. Parecchi altri artisti dovrebbero prendere esempio.
(2012, Capitol)
01 Think About The Days
02 That’s Why God Made The Radio
03 Isn’t It Time
04 Spring Vacation
05 The Private Life Of Bill And Sue
06 Shelter
07 Daybreak Over The Ocean
08 Beaches In Mind
09 Strange World
10 From There To Back Again
11 Pacific Coast Highway
12 Summer’s Gone
A cura di Emanuele Brunetto