Sì, dobbiamo ammetterlo, toni eccessivamente entusiastici in principio di una recensione non sono molto professionali e lasciano pensare male. Distolgono da una analisi critica onesta e proiettano verso una visione da “fanclub” che poco si addice ad un recensore provetto. Ma insomma, una eccezione deve pur esserci ogni tanto, e noi ce la vogliamo giocare qui, adesso, per parlare di Beatrice Antolini e del suo A Due. Secondo capitolo della discografia della cantautrice maceratese, dopo l’ottimo esordio del 2006 “Big Saloon”, quello di cui parliamo è un album di una ricercatezza disarmante. Forte dell’esperienza accumulata in giro per i locali e di quella – ben più formativa – acquisita grazie a collaborazioni illustri (Baustelle, Bugo, etc.), Beatrice torna sugli scaffali dei negozi con un lavoro che raccoglie eredità pesanti come fossero foglie secche. Perché “A Due” è un lavoro cupo, goticheggiante, ispirato da colleghi d’oltreoceano ben più altisonanti, fin dalla copertina (e tutto l’artwork) che vede la Antolini in versione dark-lady, con quel contrasto fra bianco e nero da far male agli occhi. Contrasto non solo cromatico ma anche e soprattutto musicale. In “A Due”, infatti, convivono nello stesso corpo, come novelli Dr. Jeckyll e Mr. Hyde, spaccati agli antipodi della personalità di Beatrice. Schizofreniche cavalcate al pianoforte e subitanei tuffi in un ermetismo sonoro inafferrabile. Isteriche proiezioni pop e lenti stralci strumentali. Beatrice si atteggia sul suo piano come la migliore Amanda Palmer, ed è proprio il cabaret dei Dresden Dolls (e, perché no, l’esperienza solista della Palmer stessa) uno dei punti di riferimento più marcati per l’intero lavoro, fatto di una teatralità espressiva a tratti burlesca a tratti agrodolce, spesso rumorosa ma mai barocca o fine a se stessa. “A Due” attraversa trasversalmente i generi, s’è già detto del cabaret e del pop più orecchiabile, ma è giusto citare anche le progressioni psichedeliche (frutto della vicinanza artistica con Marco Fasolo dei Jennifer Gentle), il blues più scuro e certo uso della sei corde acustica di sudista memoria. Un coacervo di elementi che fanno di questo album una delle più liete sorprese del 2008 italiano (e non solo probabilmente), e di Beatrice Antolini quella esponente al femminile dell’underground alternativo che mancava da tempo nel nostro paese. Un talento tutto da scoprire e coltivare.
(2008, Urtovox)
01 New Manner
02 Funky Show
03 Morbidalga
04 A New Room For A Quiet Life
05 Modern Lover
06 Clear My Eyes
07 Pop Goes To Saint Peter
08 Sugarise
09 Secret Cassette
10 Double J
11 Taiga
A cura di Emanuele Brunetto