Quanti sono, oggi, gli artisti che possono permettersi il lusso di fare ciò che gli passa per la testa senza dover rendere conto a nessuno se non al proprio pubblico, gettando alle ortiche strategie di marketing convenzionali e riscuotendo comunque un successo planetario? Pochi, pochissimi. Ancor meno nel circuito mainstream, dove ogni mossa è un monumentale progetto curato nei minimi dettagli per garantire il maggior profitto possibile.
Beyoncé rientra a pieno titolo in quella schiera di artisti che del convenzionale non sanno che farsene, se è vero che col suo staff ha pensato bene di licenziare il nuovo omonimo lavoro senza alcun preavviso. Sullo store di iTunes da un giorno all’altro, nella notte fra il 12 e il 13 Dicembre, per di più con l’ambizioso formato del visual album: 14 le tracce audio, ben 17 quelle video a supporto delle storie raccontate nel disco. Insomma, mica una robetta tirata su in pochi mesi, un lavoro studiato nella sua sostanza e pubblicato non casualmente a ridosso di Natale.
Omonimo questo Beyoncé, perché al di là delle seppur interessanti dinamiche e tempistiche del music business, in fondo ciò che colpisce è il contenuto del disco, senza mezzi termini il più intimista della discografia della Knowles, il primo dopo la nascita della piccola Blue Ivy (che dà anche il nome alla traccia conclusiva, con tanto di intervento vocale della bimba), a conferma di come la maternità possa influire in modo determinante sulle sorti di un’artista.
Inevitabilmente, in un lavoro molto lungo in quanto a numero e durata dei brani, i punti di riferimento di un’intera carriera non possono essere tenuti nascosti a lungo: c’è la funkeggiante Blow, così come il consueto r’n’b di Rocket o l’immancabile ballatona Heaven, pegno sempre vivo ai maestri dell’ex Destiny’s Child. Ma, al tempo stesso, anche un paio di episodi più banali che coincidono con i momenti in cui Beyoncé ricalca sentieri già battuti: vedi il duetto col marito Jay-Z in Drunk In Love o l’iniziale Pretty Hurts, trascurabili perché inserite in un contesto in cui si prova a fare dell’altro.
“Altro” che corrisponde essenzialmente a Ghost/Haunted, seconda bipartita traccia del disco che va dal trip hop iniziale alle venature dubstep del finale, per un pezzo convincente che segna una nuova possibile – ed interessantissima – rotta per Beyoncé. Oppure Yoncé/Partition, altro brano diviso in due che si aggira in ambienti urban che calzano a pennello alla voce della Knowles. O, ancora, la collaborazione con Frank Ocean in Superpower, uno che al momento riesce a rendere speciale ogni cosa.
E poi il tema su cui poggiano le lyrics, ovvero la donna: la già citata maternità, il femminismo (non a caso compare il cammeo della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie in ***Flawless), il sesso e gli immancabili ammiccamenti, riproposti qui con una parvenza di sobrietà che è spesso mancata in lavori assimilabili per genere. Tutto ciò contribuisce a rendere estremamente trasversale questo quinto album di Beyoncé, ricco di spunti e di una maturità che va finalmente oltre la retorica figura della reginetta del pop.
(2013, Columbia)
01 Pretty Hurts
02 Ghost/Haunted
03 Drunk In Love (feat. Jay-Z)
04 Blow
05 No Angel
06 Yoncé/Partition
07 Jealous
08 Rocket
09 Mine (feat. Drake)
10 XO
11 ***Flaweless (feat. Chimamanda Ngozi Adiche)
12 Superpower (feat. Frank Ocean)
13 Heaven
14 Blue (feat. Blue Ivy)
IN BREVE: 3,5/5