Quando in calce a un album compare la sigla Southern Lord, se c’è una cosa certa è che lì, in quel disco, luce ce ne sarà pochissima per non dire nulla. Negli anni formazioni come Sunn O))), Earth, Pelican, Om, Wolves In The Throne Room e compagnia bella hanno contribuito a costruire, lavoro dopo lavoro, la nomea pesante dell’etichetta, facendone uno dei punti di riferimento indiscussi della scena metal sperimentale.
Fra gli ultimi arrivati ci sono i Big|Brave, approdati alla corte della label californiana nel 2015 con “Au De La” e fuori adesso con questo Ardor, che ne conferma le ambizioni giocando al rialzo. Perché se era chiaro già con l’album precedente (ma anche con l’esordio “Feral Verdure” del 2014) che il loro è un doom selvaggio sebbene non integralista, che strizza senza vergogna l’occhio ad altri territori, è col terzo lavoro in studio che i Big|Brave si schierano definitivamente dalla parte dei maestri Sunn O))), facendosi ancora più monolitici grazie a quaranta minuti di soffocamento divisi in soli tre componimenti.
La voce di Robin Wattie, acuta e spesso urlata, è il disturbante contraltare di un tessuto sonoro che risale direttamente dalle profondità degli abissi, che parte dal doom della casa per poi propagarsi tanto in direzione del noise alieno di scuola Swans (Sound) quanto in quella del post rock sepolcrale dei Godspeed You! Black Emperor (Lull), da cui non a caso viene il Thierry Amar impegnato qui al contrabbasso.
La luce, come si diceva all’inizio, non filtra come non filtrerebbe sul fondo della fossa delle Marianne, quelle dei Big|Brave sono lunghe e ossessive ripetizioni di feedback (l’apice nei quasi quindici minuti di Borer) che provano senza successo a intaccare un ammasso gelatinoso che si rigenera di continuo. “Ardor” è sabbie mobili fatte rumore: più ci si dimena, più si prova a guadagnare la superficie e riemergere, più ci si ritrova ineluttabilmente inghiottiti.
(2017, Southern Lord)
01 Sound
02 Lull
03 Borer
IN BREVE: 4/5