Lydia Lunch non sa stare ferma, questo si è ben capito. L’artista di New York riesce continuamente a reinventarsi senza perdere mai quella fedeltà a se stessa, né quel diabolico piglio artistico che la rende unica nel panorama della musica. Già a diciassette anni vagabondava famelica nella Grande Mela scroccando pranzi (da qui il cognome fittizio Lunch) e inserendosi perfettamente nello scenario artistico di una città che, esauritasi l’energia della cultura hippy che imperversava all’inizio degli anni ’70, si trovava vittima di nevrosi urbane figlie di sogni infranti, diventando così culla di angosce giovanili che sfociarono in un annichilimento generazionale. Il movimento No Wave nasce da queste situazioni di disagio, musica spogliata dalla sua orecchiabilità, musica atonale, frutto di paranoie e depressione. La regina di questo movimento non poteva che essere Lydia Lunch, la quale nel ‘77 formò i Teenage Jesus And The Jerks, gruppo nel quale suonava la chitarra e cantava. I ritmi psicotici e cadenzati della sua chitarra e la sua voce isterica da selvaggia ragazza di strada scandirono il sound ossessivo del gruppo. I Teenage Jesus, così come altri gruppi No Wave, furono raggruppati dal profeta Brian Eno in una raccolta nominata “No New York”, che divenne ben presto oggetto di culto da parte dei più dadaisti degli ascoltatori. Tanto sarebbe bastato per divenire leggende nell’underground musicale, ma ovviamente Lydia proseguì la sua carriera da musicista percorrendo altri progetti (gli oscuri Beirut Slump e gli 8 Eyed Spy), per poi percorrere una carriera da solista dove sperimentò diversi tipi di approccio ai pezzi: spoken word, blues malato, cantilene con tinte jazz, trip hop e quant’altro. Nei suoi pezzi da solista l’approccio della Lunch cambia. Se prima era in preda all’isterismo, adesso appare come una seduttrice, diviene diavolo tentatore, vissuta regina della paranoia urbana. Non smette di essere viscerale ma adesso è più consapevole. Nella sua prolifica carriera collabora con svariati artisti del panorama musicale e non (Nick Cave, Sonic Youth, Jim Sclavunos, James Chance e molti altri) e per certi versi potrà sembrare controversa la sua ultima collaborazione con i Gallon Drunk. I Gallon Drunk sono un gruppo di scalmanati che suonano un blues contorto e violento con sonorità da rock‘n’roll sporco, grasso e infernale. Per questo motivo può sembrare anche strano che la madre della No Wave si metta i panni di cantante hardrock. Ma Lydia, come si diceva, ferma non ci sa stare e i Gallon Drunk fanno una musica così irrequieta e oscura che non può che sposarsi perfettamente con le aspirazioni artistiche della Lunch. Nasce da quest’incontro Big Sexy Noise. Dopo un primo omonimo album, feroce, gracchiante e adrenalinico i Big Sexy Noise danno vita a Trust The Witch, che, se è possibile (e a quanto pare sì), è ancora più perverso e sfrontatamente ammiccante. Si parte con Ballin’ The Jack seguendo i deliri del sax di Terry Edwards per oscuri vicoli accompagnati dalla calda voce della Lunch. Il pezzo è una cavalcata pazzoide con un tragico delirio finale. Si riparte con Cross The Line che, con una ritmica ossessiva, ci ipnotizza e ci lascia stordire da una chitarra folle ed epilettica che guizza malvagia, accerchiando la voce roca e sporca che dolente geme. E ormai siamo dentro, risucchiati in una maledetta notte senza luna. Won’t Leave You Alone ci accompagna suadente evitando la luce dei lampioni, attirati nell’ ombra dai biascichii indolenti dell’ artista newyorkese. Terribilmente affascinante arriva anche Mahakali Calling, pezzo sguaiato e travolgente che sembra sgusciato furtivamente dal primo album Big Sexy Noise. “Trust The Witch” è un invito senza mezzi termini alla perdizione, Lidya sussurra perversa accompagnata da un lercio blues. Impossibile restare indifferenti, impossibile fare finta di nulla, la strega ha colpito. Devil’s Working Overtime ci scuote per un attimo dall’incantesimo, ma poi ci lascia da soli ed arriva roboante Where You Gonna Run, pezzo potente e grintoso, con un’aurea malvagia. La batteria di Ian White e la chitarra di James Johnston si rincorrono per tutto il tempo e vengono raggiunte nell’apice della tensione finale dal sassofono che si imbizzarrisce in preda al delirio. Prosegue con tono a tratti sguaiato e ammiccante Collision Course. Oscura più che mai, cupa e spaventosa, Not Your Fault ci fa raggiungere gli angoli più bui dell’ album ed arrendevoli ci si lascia cullare dal viscerale incedere del pezzo. Si termina con Forever On The Run che con sonorità garage ci martella il cervello incessantemente, ci sbatte su e giù e ci sbatacchia in faccia tutta la depravazione della Lunch. Lasciandoci spossati, finisce così questo viaggio nei bassifondi della libidine umana. “Trust The Witch” è un album a forte impatto emotivo che sviscera con rinnovato vigore le vecchie perversioni dell’artista di New York che continua a essere, nonostante il tempo che passa, quella meravigliosa ragazzaccia anticonformista che suonava musica “fastidiosa” ai tempi dei Teenage Jesus. Coerenza e urgenza espressiva. Occhio alla strega.
(2011, Le Son Du Maquis)
01 Ballin’ The Jack
02 Cross The Line
03 Won’t Leave You Alone
04 Mahakali Calling
05 Trust The Witch
06 Devil’s Working Overtime
07 Where You Gonna Run
08 Collision Course
09 Not Your Fault
10 Forever On The Run
A cura di Claudio Palumbo