Esistono artisti contornati da un’aura talmente incorporea da chiedersi se esistano davvero o se siano solo il frutto geniale di una mente più grande. Così è stato per David Bowie, per i Daft Punk e così è a tutt’oggi per Björk. L’artista islandese, inquietante, affascinante, selvaggia e fragile al tempo stesso, rientra nella rosa di quei soggetti che da sempre riescono a rifuggire ogni tipo di classificazione, sessuale e musicale.
Utopia arriva al pubblico a due anni da “Vulnicura”, effetto, più umano che immaginario, scaturito anche dalla fine del suo rapporto con Matthew Barney. Nonostante sia impossibile etichettare Björk all’interno di un genere facilmente distinguibile, su un dato non v’è alcun dubbio: Björk è world music, lo è nei suoni, nelle sue sperimentazioni e nelle collaborazioni, a partire dalla sua amicizia con Alejandro Arca, musicista e produttore venezuelano, fino alla collaborazione con l’artista australiana Sarah Hopkins; sono world le sue fonti d’ispirazione, tra le quali compare anche il canto a tenore di Bitti, comune della Sardegna; lo è, infine, nel missaggio a mano di Heba Kadry, egiziana e Marta Salogni, italiana.
“Utopia” è un album sperimentale, elettronico ma non artefatto: Björk non permette mai che le macchine prendano il sopravvento, la sua impronta è inconfondibile, nella scrittura, nella produzione e nell’esecuzione. The Gate, il primo singolo estratto, introdotta da versi minimal e ambient si tramuta in un’esplosione di melodie corali, strumenti a fiato e raffica di synth, donando al pezzo un’atmosfera fiabesca e inquietante.
Body Memory, fulcro dell’album, con una durata di quasi dieci minuti, è suddivisa in versetti che trattano ogni singola caratteristica della vita dell’artista: la ruralità, il destino, l’amore, il sesso, la famiglia e i suoi figli mentre i flauti, gli archi, i ritmi e il coro islandese degli Hamrahlíðarkórinn, composto da sessanta elementi, creano armonie e variazioni che attraversano perfettamente i temi interpretati nella traccia.
Loop, flauti, arpe e canto di uccelli sono una costante all’interno dell’album come ricorrente è il tema della natura e il tentativo reale di rinascita dell’artista, soprattutto in seguito alla lotta per la custodia della figlia: così, la title track, Losss, Sue Me, Claimstaker, tracciano sensazioni di serenità e di speranza alternandosi con momenti di oscurità. Future Forever che chiude l’album, con una serie di armonie luccicanti, immagina un futuro pieno di mille possibilità, sorretto dall’istinto di sopravvivenza.
“Utopia” non è un album inteso nel senso discografico del termine: è un’opera, strutturata e minimale allo stesso tempo, che va ascoltata e compresa come fosse un’unica composizione in cui ogni singola traccia brilla di luce propria pur facendo parte di un disegno più grande a cui è intimamente legata.
(2017, One Little Indian)
01 Arisen My Senses
02 Blissing Me
03 The Gate
04 Utopia
05 Body Memory
06 Features Creatures
07 Courtship
08 Losss
09 Sue Me
10 Tabula Rasa
11 Claimstaker
12 Paradisa
13 Saint
14 Future Forever
IN BREVE: 3,5/5