Ennesima opera prima per l’ennesima band fuoriuscita dal logorroico sottobosco del post punk britannico. Questo incipit sembrerebbe la premessa di un racconto annoiato o, peggio, di una stroncatura del disco in questione. Invece no. I Black Country, New Road sono forse tra le novità più interessanti della magmatica scena musicale sopra richiamata. Un giovane collettivo di sette membri provenienti dal Cambridgeshire che, capeggiati dal giovane chitarrista Isaac Wood – senza dimenticare, tra gli altri, la bassista Tyler Hyde, figlia di Karl Hyde degli Underworld – si sono formati dalle ceneri dei Nervous Conditions, parentesi precedente chiusasi dopo le accuse di violenza sessuale formulate all’ex frontman Connor Browne.
Cos’è, però, che attizza l’interesse di chi scrive? L’approccio anarchico, la propensione alla fuga sonora piuttosto che alla concentrazione, l’attitudine palese alla contaminazione che ha come corollario l’evidente qualità di saper bilanciare un background colto con istanze punk. Il risultato lambisce territori che vorticano dalle parti delle avanguardie sonore: sortite rumorose e nevrotiche che si intersecano a trame più morbide, talvolta plumbee, che non disdegnano ricami etnici accomodanti (influenze klezmer). A condire il tutto lo stream of consciousnessdei testi sciorinati da Wood: confessioni lisergiche che tanto devono, in termini di ispirazione, a scrittori del calibro di Vonnegut e Burroughs.
Tutto ciò è For The First Time, che si presta perfettamente al gioco di parole. Sei brani in totale, di cui due riarrangiati per l’occasione (Athens, France e Sunglasses), prodotti dal navigato e sapiente Andy Savours che con un certo tipo di suoni ci lavora da anni (My Bloody Valentine, The Pains Of Being Pure At Heart, Peter Perret e Dream Wife). Una setlist definitiva che aggiunge poco – quantitativamente parlando – a quello che si conosceva già dei BC,NR: Instrumental e Opus, rispettivamente l’apertura e la chiusura del disco.
Ed è proprio l’ouverturestrumentale con le percussioni febbrili, i fiati folk che mescolano Balcani e cultura ebraica, nonché il finale in crescendo, a rapire immediatamente l’attenzione dell’ascoltatore. Un aperitivo Kosher che ci proietta verso il cuore del disco. La successiva Athens, France è ripulita dalle asperità lo-fi della versione iniziale, senza, però, perdere la propria natura nevrotica à la Protomartyr. È un pezzo versatile, tuttavia, con un finale che dilata i suoni fino ad assumere connotati post rock, molto vicini a mostri sacri del genere come Slint e June Of 44. Science Fair, racconto di un appuntamento un po’ fuori dal comune, è un brano caratterizzato da un’anima più noise e da una verticalità sonora determinata dalle incursioni del sassofono di Lewis Evans.
La nuova veste sonora di Sunglasses, invece, è arricchita da iniziali bordate di feedback granitici che proiettano l’ascoltatore verso il nucleo sghembo del pezzo. Questo è la summa della loro cifra stilistica: post punk di facciata sorretto da un peculiare incontro tra post rock, free jazz e irruzioni post hardcore. Se Track X è la traccia defatigante, dai toni rilassati e vicina al prototipo di ballad, Opus chiude il cerchio riproponendo le pennellate etniche dell’inizio, senza risparmiarsi in continui cambi di rotta ritmici e climax sonori.
I quaranta minuti di “For The First Time” scorrono inesorabili, al punto tale che si ha l’impressione di aver ascoltato un unico flusso sonoro ben strutturato. È evidente che il nitore delle idee che si ravvisano fa ben sperare per il futuro. Ad avercene di opere prime così. Promossi a pieni voti!
(2021, Ninja Tune)
01 Instrumental
02 Athens, France
03 Science Fair
04 Sunglasses
05 Track X
06 Opus
IN BREVE: 4/5