Dunque ricapitoliamo: dopo i primi due dischi di pregevole fattura “B.R.M.C.” (2000) e “Take Them On, On Your Own” (2003) nel trio di San Francisco, Black Rebel Motorcycle Club, si rompe qualcosa. Il batterista inglese Nick Jago, già impegolato nelle burocrazie americane sul permesso di soggiorno trimestrale, viene alle mani con il leader e vocalist Peter Hayes. “Attriti di carattere personale” – diranno più tardi e cioè a “Howl” ultimato, quando poi Jago sarà richiamato a rifinire con i suoi rulli l’album. Nonostante il parziale contributo di Jago, l’urlo è l’episodio più anomalo dei BRMC. Senza batteria, Hayes e Levon Been (basso) si inventano un disco acustico e vicino alle ballate bluesy della tradizione americana. Dunque messe da parte temporaneamente quelle atmosfere cupe e taglienti e quei richiami all’ombrosità di certo rock inglese della new wave (Jesus And Mary Chains su tutti) messaggio musicale dei primi due lp. Ed arriviamo ad oggi ed a questo Baby 81 per il quale la formazione americana ritorna all’antica ed anche lo spunto sonoro si fa di nuovo irruente e meno dondolante. Ma partiamo dal titolo: il nome “Baby 81” è stato ispirato ad Hayes dalla storia di Abhilasha Jeyarajah, una delle moltissime vittime del disastroso tzunami del 2004. Il bimbo, ritrovato nella spiaggia della città di Kalmunai (Sri Lanka), è stato disputato da nove famiglie diverse che rivendicavano la sua parentela. ‘Baby 81’ perchè, inizialmente, sconosciute le sue generalità, Abhilasha era stato etichettato come ottantunesima vittima del maremoto. Da questo spunto così drammatico e struggente nasce il quarto disco del club delle motociclette ribelli; il messaggio? Beh, potrebbe rilanciare la personale sfida di Hayes & Co. alla debolezza delle etichette musicali. I Black Rebel sono una band che fa indie rock, blues, noise, che gioca col country e con certo romanticismo decadente anni ’80. Dunque a quale di questi lidi affidare la paternità di “Baby 81”? A nessuno e a tutti, probabilmente. Le chitarre aggressive del riff iniziale di Took out a loan, innanzi tutto, sembrano proprio voler cominciare con un certo rock ‘n’ roll fatto per bene (per 666 Conducer leggi sopra). Ma poi arrivano brani come Window (piano e canto in falsetto), Not what you wanted (country elettrico) e l’agrodolce All you do is talk (molto bello l’organo hammond) che confondono il tutto in un mix tra velocità aggressive e qualche rallentamento velenoso. Hayes canta stropicciando la sua voce con microfoni filtrati, la band non strabilia ma vince la sfida del ritorno. “Baby 81”, così, è un disco esattamente ritratto dell’incerto periodo stagionale in cui viene fuori. Ed è così che, ascoltandolo, c’è qualcosa che fa dire: “bella trovata questa” e qualcos’altro che, invece, fa venire la tentazione di “skippare” avanti. E allora come un orfano, questo albo va in cerca della collocazione giusta. Va a inseguire le sue radici. Imparando, col passare dei minuti, a mostrare l’orgoglio di chi sa tirarsi su da solo: Am I only.
Nota 1: Il bassista Robert Levon Been “riacquista” il suo vero nome dopo che nei primi due dischi aveva optato per lo pseudonimo Robert Turner.
Nota 2: Nella versione inglese, “Baby 81” presenta la track 14 The likes of you.
(2007, RCA)
01 Took Out A Loan
02 Berlin
03 Weapon Of Choice
04 Window
05 Cold Wind
06 Not What You Wanted
07 666 Conducer
08 All You Do Is Talk
09 Lien On Your Dreams
10 Need Some Air
11 Killing The Light
12 American X
13 Am I Only
A cura di Riccardo Marra