E dire che eravamo tutti coi fucili puntati contro Ozzy Osbourne e Tony Iommi, pronti a sparare e a decretarne una fine ridicola. I presupposti per un disco pietoso dopo uno iato di ben 35 anni c’erano tutti, sarebbe stato il finale perfetto di un canovaccio in cui i protagonisti sono dei fossili parlanti che tornano dall’oltretomba per una questua di massa. E invece la fine è rimandata al prossimo giro, se mai dovesse esserci.
Con Rick Rubin dietro il mixer, il pregio di 13 è quello di mantenere intatto lo spirito dei Black Sabbath senza eccessi o ridicoli tentativi di apparire moderni a tutti i costi. Il passato che viene spesso rievocato tra le maglie di queste otto composizioni dall’aspetto cangiante e quasi progressive sin dall’attacco malvagio e slabbrato di End Of The Beginning, leviatano che emerge maestoso dagli abissi. Sentire Ozzy Osbourne intonare melodie così ispirate, seppur senza librarsi verso elevate vette tonali, è rinfrancante e in parte inatteso.
Le tenebre si dipanano minacciose per l’intero tragitto, nella funesta God Is Dead? così come in Dear Father, fregiata d’un inciso drammatico. O ancora nel fascinoso e mortifero blues di Damaged Soul.
Tony Iommi, nonostante la grave malattia che lo affligge e l’età che avanza, tira fuori riff quadrati e bastardi che sono una goduria per le orecchie che hanno amato i grandi classici della band: l’incipit di Loner sta dalle parti di “N.I.B.”, nonostante poi prenda una piega diversa ma non meno massiccia. E, con un po’ di ruffianaggine, Zeitgeist prova a riaccendere la fiamma lisergica di “Planet Caravan”, in assoluto una delle più belle ballate drogate degli anni Settanta. Solo che la divinazione non riesce granché bene.
L’unica vera macchia però è Live Forever, brano stanco e senza mordente che si salva parzialmente solo per le cavalcate chitarristiche di uno Iommi davvero in grandissimo spolvero.
Con una formazione che annovera lo storico bassista Geezer Butler e il batterista dei Rage Against The Machine Brad Wilk, i Black Sabbath vanno oltre tutti i pronostici e gli scetticismi. Nessuno avrebbe più scommesso un centesimo su di loro ma, come insegna proprio un famoso titolo del catalogo sabbathiano, never say die.
(2013, Vertigo / Universal)
01 End Of The Beginning
02 God Is Dead?
03 Loner
04 Zeitgeist
05 Age Of Reason
06 Live Forever
07 Damaged Soul
08 Dear Father