Ci sono delle volte in cui ti viene voglia di vedere delle americanate. Ma non roba tipo “Independence Day” o “Armageddon”, il trionfo dei buoni sentimenti e dei cattivi sconfitti in mezzo a quattrocento gaziliardi di dollari di effetti speciali. No, no, sana cafoneria, Steven Seagal, Walker Texas Ranger, quella porcheria di telefilm nel quale è finito Arsenio Hall (il compare di Eddie Murphy ne “Il principe Cerca Moglie”, sono sicuro che ricorderete) insieme al Bruce Lee dei poveri Sammo Hung, che gli amanti della cafoneria ricorderanno ne “I 3 dell’Operazione Drago”. Ti dà soddisfazione vedere qualcosa di così ottuso, ti libera dai mille pensieri della vita adulta per un’oretta (e, se sei un ragazzino, è sempre bello vedere gente che si mena di brutto, diciamo la verità).
Ora, per tradizione, noi italiani nei film di menare ci mettiamo “Dune Buggy” degli Oliver Onions, tutte quelle figate lì. I whattzammerigan, invece, hanno ‘sta sottospecie di derivato del country, ma proprio di quello country, ‘sto bluegrass sotto anfetamine arrangiato per suonare come se fosse rock. Le melodie, le tematiche, le armonie, i testi, i licks… purissimo country cafone. Ci aggiungi i chitarroni, alzi la batteria nel mix ed ecco Chuck Norris che può fraccare di legnate un povero stronzo, magari con le sue belle ragioni, con una famiglia, degli amici, eccetera… ragioni che vengono meno quando Norris e il country pompato fanno valere la giustizia dell’aquila calva. Poi si estrapola la cafoneria in musica e la si rivende a Virgin Radio come southern rock o classic rock per un pubblico molto ruock che conosce molto bene “Whole Lotta Love” e “Toxicity” (un po’ meno i 32 anni intercorsi tra i due pezzi).
È questa sostanzialmente la definizione del “classic rock” moderno, talvolta definito southern per fare rabbrividire qualche fan dei Lynyrd Skynyrd. Avendo abdicato la corona i Black Crowes, pare che i reucci siano adesso i Blackberry Smoke, onesta band di Atlanta, Georgia, al quarto album in studio con questo Holding All The Roses che sta facendo gridare in molti al miracolo. Ora, tralasciando il fatto che l’elemento blues – che Elvis e Chuck Berry (per dire i due più rappresentativi) avevano unito all’elemento country per creare quella esplosiva miscela chiamata rock’n’roll – è talmente diluito da sembrare assente, facendo di questo praticamente un album country, trasuda l’onestà d’intenti dei Georgiani.
Ma la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni e pescare dal passato (“Black Water” dei Doobie Brothers per No Way Back To Eden e “Old Time Rock and Roll” di Bob Seger per Rock And Roll Again) in maniera così palese non aiuta di certo. A poco serve la cristallina produzione di Brendan O’Brien (nome che dimostra la rilevanza nel panorama musicale americano), né aiuta la discreta perizia strumentale dei Blackberry: l’album rimane noioso e mediocre. Né sarebbe giovato averlo pubblicato nel 1973, dato che i problemi sono inerenti alla banalità dei testi, alla totale, assoluta, inenarrabile prevedibilità di ogni riff, di ogni bridge, persino di ogni battuta di ogni canzone. La conclusiva Fire In The Hole abbozza qualche passaggio allmaniano, banale quanto vogliamo ma almeno dignitoso e non da pub dell’Alabama, ma è più o meno tutto ciò che possiamo trovare di buono in quest’album.
Il problema non è la nostalgia, né il fare musica fortemente radicata nel passato. Il problema è la carenza assoluta di personalità e di originalità.
(2015, Earache)
01 Let Me Help You (Find The Door)
02 Holding All The Roses
03 Living In The Song
04 Rock And Roll Again
05 Woman In The Moon
06 Too High
07 Wish In One Hand
08 Randolph County Farewell
09 Payback’s A Bitch
10 Lay It All On Me
11 No Way Back To Eden
12 Fire In The Hole
IN BREVE: 1/5