Google Immagini, alle volte, fa brutti scherzi, come nel caso di Luis Barragán. Lui è stato un architetto spettacolare, veniva dal Messico, ma esportò idee dovunque nel mondo. E se lo googlate, noterete che le foto che lo ritraggono nel suo gessato sono in bianco e nero, al contrario di quelle delle sue opere invece coloratissime e veri caleidoscopi a tinte forti. Come a dire: quello che creiamo, spesso, è migliore di quello che siamo o comunque diverso. Ma forse è solo un caso.
I Blonde Redhead, il nome di Barragán, lo hanno scelto per titolare il loro nono disco in studio (ben 4 anni dopo “Penny Sparkle”), perché? Perché i suoi ‘rossi’ e i suoi ‘gialli’ sono irresistibili. Perché le sue architetture sono universali e universalizzanti, chi ci entra perde ogni coordinata: avranno pensato questo i fratelli Pace provando pure a riprodurre tale sensazione straniante in musica. Il risultato è pienamente centrato, le dieci tracce di Barragán sono quadri senza soggetto, fotografie che galleggiano ancora nell’acqua densa di una camera oscura. «Volevamo fare qualcosa di atemporale e puro e forse un po’ troppo minimalista» – ha detto Amedeo. Un minimalismo che strozza il fiato però e che spegne oltremodo qualsiasi entusiasmo rock, e anche pop.
Il fatto è che i colori di Luis Barragán qui non ci sono, rimane solo l’effetto di disorientamento. Il fatto è che il perdersi in questi pezzi non è viaggio sensoriale, è prurito cutaneo rigorosamente in bianco e nero, seppur supportato da impasto strumentale comunque di buona intuizione (bassi e poche chitarre impastate di computer). E così, dallo strambo orientalismo della title track al sintetismo acido di Dripping, al bozzetto stilizzato di The One I Love (straziante il clavicembalo che detta i tempi), passando per il singolo No More Honey e alle ballads sterilizzate Defeatist Anthem e Penultimo, si assiste alla definitiva crisi di identità dei Blonde Redhead: oggi band arte-fatta, art-oriented, da performing museale più che da palco rock.
Un prodotto “prezioso” (con la voce di Kazu Makino sempre lancinante e aliena) ma tuttavia alla continua ricerca di un colpo ad effetto che volteggia su se stesso come fosse un boomerang micidiale. E non c’entra più nulla Pasolini e le vite violente degli anni Novanta, quella è ormai acqua passata per i Blonde. C’entra un feeling generale che si assesta ormai ai minimi storici.
(2014, Kobalt)
01 Barragán
02 Lady M
03 Dripping
04 Cat On Tin Roof
05 The One I Love
06 No More Honey
07 Mine To Be Had
08 Defeatist Anthem (Harry And I)
09 Penultimo
10 Seven Two
IN BREVE: 1/5