Chi ha imparato a conoscere i Blonde Redhead, seguendoli in ogni tappa della loro – ormai decisamente lunga – parabola sonora, è perfettamente a conoscenza di come la band dei gemelli Pace non abbia mai scelto di seguire la strada più semplice. Mettendosi in gioco a ogni uscita, aggiungendo tasselli su tasselli, tanto da porre in difficoltà chiunque abbia cercato di standardizzare con una semplice etichetta il genere da loro proposto. Che gli esordi siano oramai parecchio lontani è un dato piuttosto lapalissiano, tanto cronologicamente quanto concettualmente. Anzi, soprattutto concettualmente. Perché le chitarre soniche e il noise di stampo indipendente di album come “Blonde Redhead” (1995) o “Fake Can Be Just As Good” (1997) si è andato man mano diradando, lasciando spesso spazio a un gusto e a intuizioni lontane anni luce dalle esperienze di Sonic Youth et similia. Un insegnamento, quello del noise, che in qualche modo aveva sempre rappresentato il punto di partenza di ciascuna composizione a nome Blonde Redhead. Fino al 2004 e a “Misery Is A Butterfly”, in cui si sentiva chiaramente come qualcosa stesse mutando nella concezione musicale di Kazu, Amedeo e Simone. Cambiamento confermato dal seguente “23” (2007) e definitivamente raggiunto con questo Penny Sparkle, ottavo lavoro in studio della band italo-nippo-americana. Le chitarre stridenti e i ritmi ficcanti del recente passato vengono qui filtrati attraverso strati di campionamenti e ore di lavoro di produzione (affidato agli svedesi Van Rivers e The Subliminal Kid). Via l’elettricità e dentro l’elettronica, quindi. Un passaggio che, sinceramente, oggi ha smesso di stupire, sdoganato com’è da nove band indie su dieci. Ma un passaggio che, allo stesso tempo, a non tutti riesce come dovrebbe riuscire. Ed è per questo che il dream-pop di scuola Cranes di brani come Oslo (tra le tracce meglio riuscite dell’intera discografia della band), My Plants Are Dead o Black Guitar finisce per colpire positivamente, creando e proponendo una dimensione totalmente nuova per i Blonde Redhead e in modo particolare per la vocalist Kazu Makino, davvero a suo agio con gli eterei e rarefatti vocalizzi registrati per questo lavoro. “Penny Sparkle”, proprio per la svolta cui si è accennato, è un album che non entra dentro al primo ascolto. Forse neanche al secondo e al terzo. Ma se, con uno sforzo, si prova a dimenticare il nome degli autori e lo si ascolta con padiglioni auricolari liberi da pre-concetti, allora cambia tutto. E il risultato è più che soddisfacente.
(2010, 4AD)
01 Here Sometimes
02 Not Getting There
03 Will There Be Stars
04 My Plants Are Dead
05 Love Or Prison
06 Oslo
07 Penny Sparkle
08 Everything Is Wrong
09 Black Guitar
10 Spain
A cura di Emanuele Brunetto