Home RECENSIONI Blood Red Shoes – Ghosts On Tape

Blood Red Shoes – Ghosts On Tape

Se pensiamo alla corretta definizione di indie rock (termine del quale si è disgraziatamente stra-abusato nel corso degli anni) e ad un esempio pratico di come quest’ultimo possa essere rappresentato, poche, davvero poche band possono risultare adatte a riguardo, e tra queste non possono non esserci i Blood Red Shoes. Il duo di Brighton, forte di una discografia  grazie alla quale ha attraversato vari sottogeneri, giunge al sesto lavoro in studio (l’ottimo Ghosts On Tape) forte di una maturità invidiabile: sicurezza dei propri mezzi, crescita, evoluzione.

Si è messo da parte un certo candore figlio degli esordi e la band ne guadagna (e non poco), a cominciare dalle esecuzioni vocali di Steven Ansell e Laura-Mary Carter, più oscure che mai. E che dire del songwriting, che in almeno in cinque episodi si manifesta a livelli davvero superlativi? Citiamoli pure, questi episodi: l’iniziale Comply, così ipnotica, inquieta ed inquietante, intro perfetta per l’album. Il synth pop cazzuto di Morbid Fascination, con una melodia che difficilmente andrà via dalle vostre orecchie. C’è poi Sucker, altro brano dove atmosfere oscure ma calde al tempo stesso tornano prepotenti, andando perfettamente a nozze con lo splendido artwork.

Arriviamo poi al vero capolavoro del disco, la straordinaria I Am Not You, che si candida seriamente a diventare il brano migliore del repertorio tutto della band inglese: a strofe avvolgenti che ricordano i Muse degli esordi (quelli buoni, perché gli attuali pagherebbero oro per una canzone simile) fa da contraltare un ritornello impressionante, disperato, catartico, coadiuvato da un eccellente lavoro alle percussioni e ai synth. C’è poi la conclusiva Four Two Seven, con un ritornello stavolta positivo e speranzoso, ma soprattutto efficace.

Queste le “magnifiche cinque”, ma va detto che all’interno del disco, tra un intermezzo strumentale e l’altro, non mancano altri episodi interessanti, come il singolo Murder Me e la brillante I Lose Whatever I Own, che ricorda tanto i Goldfrapp. È vero, le classifiche si fanno a Dicembre, mancano ancora undici mesi, ma questo album ha tutte le carte in regola per diventare un nostro – e vostro, ve lo auguriamo – personale classico musicale di questo 2022 appena iniziato.

(2022, Velveteen)

01 Comply
02 Morbid Fascination
03 Murder Me
04 (I’ve Been Watching You)
05 Give Up
06 Sucker
07 Begging
08 (You Claim To Understand)
09 I Am Not You
10 Dig A Hole
11 I Lose Whatever I Own
12 (What Have You Been Waiting For?)
13 Four Two Seven

IN BREVE: 4/5

Karol Firrincieli
Una malattia cronica chiamata britpop lo affligge dal lontano 1994 e non vuole guarire. Bassista fallito, ma per suonare da headliner a Glastonbury c'è tempo. Già farmacista, ha messo su la sua piccola impresa turistica. Scrive per Il Cibicida dal 2009.