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Bob Mould – Here We Go Crazy

Se c’è un artista, un musicista, che non ha mai lasciato da solo il proprio pubblico, questo è Bob Mould. Senza neanche parlare degli Hüsker Dü, il cui nome ovviamente evoca già tanto da sé, né degli Sugar, basterebbe la sua carriera/discografia da solista a fungere da vero e proprio accompagnamento per l’intera vita di diverse generazioni. Mould a sessantaquattro anni suonati arriva adesso con Here We Go Crazy al suo quindicesimo lavoro firmato esclusivamente a proprio nome, in un lasso di tempo di ormai oltre trentacinque anni. E lo fa nel medesimo modo in cui l’ha fatto in tutti questi lustri, ovvero con un’invariata sensibilità nello scrutare ciò che gli sta intorno e una sempre viva tempra da fratello maggiore, da zio che prova a rassicurarti col suo piglio serio ma accondiscendente che quasi ti tranquillizza con un “dai, risolveremo insieme anche questa”.

E fa parte di questa comfort zone, tanto di Mould quanto nostra che lo ascoltiamo da una vita, anche il proporre la solita formula che conosciamo a menadito, quindi a (ri)partire come sempre dai rimandi al suo fondamentale passato hardcore, come ad esempio nell’esplicativo singolo Neanderthal o in Sharp Little Pieces. Per il resto è il solito mucchio di pezzi che giocano abilmente sul tiro, come la title track che apre il disco o come Fur Mink Augurs. A voler cercare una linea di discontinuità rispetto al più recente passato di Mould, la si può trovare in un’accentuata vena melodica che ha portato Bob a lavorare per sottrazione, diminuendo un po’ la velocità complessiva del disco e gli strati sonori sovrapposti, culmine raggiunto nella ballatona per acustica e tamburello Lost Or Stolen, una gradevolissima variazione sul tema portante.

Nel disco serpeggia un po’ più di malinconia rispetto agli standard dell’ex Hüsker Dü, vedi soprattutto Thread So Thin, basata com’è su riffoni che rendono il tutto particolarmente pesante. Ma è giusto una sfumatura in più tra i colori tipicamente mouldiani di questa classica raccolta di canzoni di un artista sempiterno come Bob Mould, dove non c’è spazio per sorprese o colpi di coda, dove occorre badare più a quei pochi − ché la quantità non sempre è un bene, tutt’altro − ma chiarissimi messaggi lanciati all’interno delle tracce senza pretendere chissà quale evoluzione stilistica. Anche perché quelli che stiamo vivendo non sono tempi in cui ci si può permettere di perdere le coordinate, meglio avere inscalfibili punti di riferimento cui puntare lo sguardo. E Bob sta lì a indicarci la via, basta seguirlo come abbiamo sempre fatto.

2025 | BMG

IN BREVE: 3/5