Bobby Gillespie e Jehnny Beth avrebbero potuto fare qualsiasi cosa, quantomeno sulla carta, vista l’innegabile rilevanza del primo e la rampa di lancio imboccata dalla seconda col suo ottimo debutto da solista (“To Love Is To Live”, pubblicato lo scorso anno). Bobby è alla sua prima prova a proprio nome, circostanza già di suo tremendamente interessante dopo l’epopea visionaria dei Primal Scream, mentre Jehnny ultimamente ha deciso di chiudere in un cassetto le Savages per dedicarsi all’esplorazione delle diverse anime artistiche che in lei convivono. Utopian Ashes li ha messi insieme e, sebbene avremmo potuto aspettarci di tutto da questi due, loro sono riusciti comunque a sorprendere.
“Utopian Ashes” è un concept sulla fine di una relazione, in cui Bobby e Jehnny recitano le rispettive parti dell’uomo e della donna mentre si interrogano su ciò che non è andato, si crogiolano nei rimpianti per non aver fatto/detto e nei rimorsi per l’esatto contrario, in cui la comunicabilità di coppia gioca un ruolo fondamentale tanto in positivo quanto, alla fine, in negativo. Musicalmente parlando − ed è qui che i due danno una vera spallata con la classe che li contraddistingue − la proposta del disco si lega a territori abbastanza nuovi per entrambi: un mischione di country, soul, psichedelia appena accennata e piglio da chansonnier, tra archi e pianoforte che impacchettano il tutto alla perfezione.
I botta e risposta tra i due s’incastrano molto bene, a tratti persino splendidamente, regalando al disco una credibilità che va ben oltre la pregevole fattura della psichedelia dai contorni sixties di Stones Of Silence, del country jazzato di You Can Trust Me Now o della cameristica English Town. Beth è quella fra i due che s’è snaturata di più (ma con risultati convincenti), perché dell’ansia e della tensione delle sue passate performance vocali qui c’è pochissimo, intenta com’è ad assecondare le tonalità di un Gillespie che, invece, pare a suo agio in questa dimensione più riflessiva.
Entrambi si prestano a un flusso di coscienza terapeutico, raccolgono tutte le ceneri di quell’utopia chiamata amore e, anziché nasconderle sotto al tappeto, gli danno forma e le mettono in sequenza in una tracklist che già dai titoli dei brani ha tanto le sembianze della sceneggiatura (di un film, di un corto, di una pièce teatrale… e chissà che qualcosa del genere non venga prima o poi fuori), in cui le varie fasi del disfacimento del rapporto si susseguono come nelle vite e nelle storie di chiunque presti l’orecchio a “Utopian Ashes”.
E così le esperienze di un uomo di quasi sessant’anni e di una ragazza oltre vent’anni più giovane finiscono per sommarsi e fondersi, dipingendo un quadro lucido di ciò che ogni relazione alla deriva si è trovato, si trova e si troverà ad affrontare. Un disco maturo, “Utopian Ashes”, che non ha nulla di “sperimentale” − e dunque nulla di ciò che ci saremmo immaginati tanto da Gillespie quanto da Beth − ma che anzi trova in una certa classica semplicità espressiva la chiave giusta per raccontare e raccontarsi. Ed è, alla fine dei conti, una lama che si fa strada nella carne allungando a dismisura i tempi per la guarigione di ferite mai del tutto rimarginate.
(2021, Sony / Third Man)
01 Chase It Down
02 English Town
03 Remember We Were Lovers
04 Your Heart Will Aways Be Broken
05 Stones Of Silence
06 You Don’t Know What Love Is
07 You Can Trust Me Now
08 Living A Lie
09 Sunk In Reverie
IN BREVE: 3,5/5