Alla parola supergruppo viene voglia, spesso, di cambiare pagina. La vicenda dei Bonny Light Horseman, però, è la classica eccezione alla regola. Prima di tutto perché trattasi di un supergruppo sui generis. Di quelli, cioè, in cui non ci sono nomi così grossi da catalizzare le attenzioni delle masse (con buona pace dei tre – bravissimi – componenti). E poi perché il progetto nasce davvero dal caso, dalla passione comune, dal comune entusiasmo per qualcosa. Per la memoria, in questo caso.
È il 2018 quando Anaïs Mitchell, Eric D. Johnson e Josh Kaufman si trovano per la prima volta insieme sul palco, sotto la buona stella di Justin Vernon in arte Bon Iver – la cui etichetta ha poi stampato l’opera in esame. Di lì a oggi, sono nate dieci splendide rivisitazioni di brani, stornelli, poesie, canzoni del folk britannico e non solo, riammodernate e ripensate in maniera egregia.
Si conosca o meno la matrice, comunque, il risultato è talmente di pregio da valere candidamente da solo l’ascolto, nei suoi momenti più rarefatti (Blackwaerside, Magpie’s Nest, Lowlands, Bright Morning Stars) così come in quelli più corali (Bonny Light Horseman, Deep In Love, Jane Jane), tutti egualmente carichi di pathos e pregni di storia. Vale, per questo progetto che forse non vedrà un seguito oltre il presente episodio, quello che Mahler diceva della tradizione. Cioè che fosse custodia del fuoco. Non adorazione della cenere.
(2020, 37d03d)
01 Bonny Light Horseman
02 Deep In Love
03 The Roving
04 Jane Jane
05 Blackwaterside
06 Magpie’s Nest
07 Lowlands
08 Mountain Rain
09 Bright Morning Stars
10 10,000 Miles
IN BREVE: 3,5/5