Il curriculum vitae che Brett Anderson può vantare è pieno zeppo di esperienze e titoli, pochi dei quali appetibili però. Come ad essere laureati ma senza superare la votazione di 80/110, la sua band storica, i Suede, in oltre dieci anni di vita non ha mai convinto del tutto: un manciata di singoli di successo, un album (“Dog Man Star”, 1994) più che buono, ma in generale poca presa su larga fetta del proprio target. Come ad essere diplomati ma avendo ripetuto per due volte ciascun anno scolastico, l’esperienza coi The Tears che l’ha visto riunirsi – dopo l’uragano all’interno dei Suede – al chitarrista Bernard Butler, in un album (“Here Come The Tears”, 2005) tutt’altro che trascendentale. Come ad aver lavorato per aziende rinomate ma in ruoli di scarso prestigio, la carriera solista iniziata nel 2007 con l’omonimo esordio, un album davvero poco coinvolgente e poco ispirato. Avventura in solitario proseguita adesso, a poco meno di un anno e mezzo di distanza, con questo Wilderness, altro tassello delle personalissime referenze di Anderson. A dirla tutta, l’ex bambino prodigio del brit-pop non prova nemmeno un po’ a discostarsi dal canovaccio melenso e stucchevole della sua opera prima, continuando in un minimalismo barocco fatto di voce, pianoforte, archi e chitarra acustica che fa rischiare il diabete. Ma se per il lavoro omonimo non c’era insulina che tenesse, oggi la situazione è parzialmente cambiata. Le melodie messe in piedi da Anderson sono sempre estremamente pompose (Funeral Mantra), pur nella loro mono-tonia, ma almeno un paio di spunti che provano a salvare il salvabile li si riesce a scorgere. E sono tutti spunti presi in prestito dal passato meno recente a nome Suede, se non per il ritmo (qui decisamente basso) quantomeno per l’indole romantico/decadente. Vedi l’opener A Different Place, il singolo di lancio Back To You (in cui Brett duetta con l’attrice Emmanuelle Seigner, moglie del regista Roman Polanski) o Chinese Whispers, tutti brani che presentano un Anderson sensibilmente più acceso rispetto alla piattezza in cui sembra essersi impigrito dopo lo scioglimento della band. Il resto delle tracce (con una nota di demerito per due pezzi “teatrali” come Clowns e Knife Edge) va avanti senza sussulti, con una andamento fintamente cantautorale che nasconde in realtà una voglia matta di “poppeggiare”. Voglia che, se assecondata, riuscirebbe magari a regalare qualche episodio significativo per una carriera – ed una voce che, precisiamo, è sempre gradevolissima – al momento in una fase di stallo che mostra solo lievi segnali di ripresa.
(2008, Drowned In Sound / V2)
01 A Different Place
02 The Empress
03 Clowns
04 Chinese Whispers
05 Blessed
06 Funeral Mantra
07 Back to You
08 Knife Edge
09 P. Marius
A cura di Emanuele Brunetto