D’accordo, evitiamo di girarci inutilmente intorno e andiamo dritti al sodo: di dischi così, dove l’ironia assurge a chiave di lettura privilegiata dei micro e macro sistemi esistenziali che l’attuale caos italico lascia alle sue spalle, ne dovrebbero uscire almeno uno al mese. Se poi, come nella fattispecie, segnano anche il ritorno in formato full lenght di un artista imprescindibile per la scena nostrana qual è Bugo, allora il piacere è doppio.
Eh già, perché per noi peccatori – citando e parafrasando a nostro uso e consumo il suggestivo finale della celebre pellicola dei fratelli Coen, “Il grande Lebowski” – è bello sapere che lui è in giro, il Bugo, che la prende come viene, con o senza il sintetizzatore.
Giunto a quattro anni di distanza da “Nuovi rimedi per la miopia” e preceduto dal fortunato EP “Arrivano i nostri” (qui integralmente riproposto), Nessuna scala da salire è un lavoro di rara intelligenza, confezionato ad arte da una produzione certosina (firmata dallo stesso Bugo e dal bravo Matteo “C-Loop” Cantalupi), attenta a mantenere coeso e coerente il legame tra liriche e arrangiamenti, il tutto prestando fede ad un’idea di leggerezza, tagliente e poetica allo stesso tempo, che neppure per un istante accenna a tentennamenti o fughe di comodo.
Quello di Bugo è un universo in continua espansione ed il viaggio tra le sue galassie sonore, all’interno delle quali, in una logica inversa, la fine corrisponde al principio, è destinato a riservare all’ascoltatore più di una sorpresa interstellare, così come accade in Nascita di un pianeta, potente cavalcata electro-rock volutamente spoglia di qualsivoglia umano commento.
Ma procediamo con ordine. Sin dalle prime battute, affidate all’unica strofa della “quasi” strumentale RadioBugo (”Rifiuto la tua realtà e la sostituisco con la mia”), appaiono chiare non solo quali siano le direzioni che lo chansonnier piemontese intende intraprendere, ma anche le tematiche che questi ha scelto di porre al centro della propria indagine introspettiva. Su tutte, quelle attinenti alla libertà e al suo significato.
Sì, la libertà. Elemento ricorrente del Bugo-pensiero, questa viene cantata, rivendicata, difesa ed esaltata a più riprese lungo la trama di “Nessuna scala da salire”, ed in particolar modo in due dei suoi episodi più rappresentativi, gli “inediti” Me la godo e Deserto. Se il primo è un brano vivace, avvolto da una croccante crosta di powerpop, il cui messaggio di fondo aggiunge, di fatto, un nuovo tassello alla saga “L’altra faccia dello spread”, idealmente inaugurata nel 2008 con “C’è crisi” (il cui testo assolutamente ante litteram avrebbe meritato ben più approfondite analisi), il secondo, invece, ha un piglio più amaro che affonda la sue radici nel medesimo punto in cui si chiudeva “La salita” (2011), con una forte presa di coscienza da parte dell’autore, a margine della quale, oltre allo spunto che dà il titolo all’album, viene fuori un’energica quanto esplicita esigenza di cambiamento di rotta.
D’altronde, libertà è partecipazione, e di tale concetto Arrivano i nostri sembra esserne la sintesi perfetta. Costruita su un riff ipnotico e scandita da una ritmica martellante, è una chiamata alle pubbliche piazze che non ammette scuse o ritardi: se riscatto deve essere, che sia di tutti, nessuno escluso. E diamo per scontato che tra i cowboy accorsi in aiuto ci sia pure il protagonista di Cosa ne pensi Sergio, al quale Bugo avverte la necessità di rivolgersi (non prima, però, di aver chiamato l’avvocato) per cercare di far fronte a quei Tempi acidi che, come macabri epigrammi, scorrono all’orizzonte.
“Nessuna scala da salire” ha anche il pregio di offrire, in un’ottica squisitamente educativa, una dettagliata panoramica dei vinili che girano sul piatto di Bugo: ci sono i beat micidiali delle soundtrack anni ’80 (quelle dei vari “Beverly Hills Cop”, “Miami Vice” e “Cobra”, per intenderci); c’è il Vasco Rossi di pezzi come “Amore… aiuto” o “Deviazioni”; c’è il Marvin Gaye di “Midnight Love”; c’è il Lucio Battisti di “Insieme a te sto bene”, di cui Sei la donna rappresenta il naturale prosieguo.
Menzione a parte, infine, merita uno dei momenti più alti della tracklist e, forse, dell’intera discografia bugattiana: Nei tuoi sogni. Fulgido esempio di come una canzone d’amore (e per l’amore, aggiungiamo) debba essere scritta, è un inno alla magia di Morfeo, qui alle prese con un passeggero d’eccezione, Bugo (e chi se non lui?), a cui il dio del sonno concede uno strappo verso un altrove incantato, dove qualcuno, la sua amata, lo sta attendendo. E poco importa che il bagaglio che porta con sé – uno scrigno colmo di dolci desideri – superi gli standard consentiti dall’autorità onirica: alla dogana, questa volta, chiuderanno un occhio.
Signore e signori, Bugo è tornato e lo ha fatto alla grande. E anche a distanza di anni, non smette ancora di stupire la sincerità con la quale Cristian Bugatti continua a raccontarsi attraverso le sue storie. Sarà per questo motivo che non facciamo alcuna fatica a definirlo “uno dei nostri”, con lo stesso sentito affetto che da bambini provavamo nei confronti dei discoli del libro “Cuore”, quando, tra una pagina e l’altra, era lecito domandarsi come sarebbero stati da grandi quei ragazzi e se ce l’avrebbero fatta a mantenere intatta la loro purezza. E ce lo vediamo uno come il Bugo, l’adulto di oggi, ad una possibile rimpatriata di quella classe meravigliosa ed irripetibile. Proprio lì, al centro della foto ricordo, a far da paciere tra Franti e Garrone.
(2016, Carosello)
01 RadioBugo
02 Cosa ne pensi Sergio
03 Nei tuoi sogni
04 Deserto
05 Me la godo
06 Ehi! (Back To Rock)
07 Vado ma non so
08 Arrivano i nostri
09 Tu sconosciuta
10 Tempi acidi
11 Sei la donna
12 Nascita di un pianeta
IN BREVE: 4/5