Di “Alternative Darlings” ormai ne è piena l’America. Diavolo, persino il Regno Unito. Cribbio, persino l’Italia (ed il “cribbio” non è casuale, capisc’ammè).Gli Alternative Darlings (d’ora in poi A.D., per comodità, come nelle denunce ai Carabinieri) nient’altro sarebbero che “i cocchi della critica”, ovvero quei gruppi che ricevono unanimi “gloria!” e “osanna!” da coloro i quali ascoltano (aggratisse, si capisce, ma senza mai dimenticare un sano anatema da scagliare contro la pirateria) i loro dischi per poi scriverne su siti e riviste (ah!) specializzate, grazie alla loro lontananza dal “mainstream” e alla loro preziosa “alternatività” (a cosa, poi, non lo domandate a me, perchè mi avvalgo della facoltà di non rispondere, come in tribunale). La vecchia generazione di A.D. era composta da gente che di solito si annoiava di questo ruolo, e ad un certo punto della carriera provava follie e porcherie varie, giusto per dimostrare che tanto li avrebbero osannati lo stesso: il quadruplo “Zaireeka” dei Flaming Lips può esserne un esempio, la pila di sterco di topo ammonticchiata dai Sonic Youth in “Goodbye 20th Century”, può esserne un altro, la sterzata ipercommerciale dei giovani Rapid Eye Movement di Athens, GA, un altro ancora. Ora, che i Built To Spill siano degli A.D., non ci piove. Figli dei misconosciuti Treepeople, a loro volta discretamente A.D., fanno parte di una generazione A.D. diversa: quella del pop-rock vagamente psichedelico di discreta qualità… e da questa definizione non si distaccano nemmeno per questo nuovo uscito, There Is No Enemy, definizione che calza a pennello per una quantità imbarazzante di “indie-rock band” tra U.K. e Stati Uniti. Eggià, dimenticavo che la nuova generazione di A.D. è immancabilmente vessata dall’attributo di “indie-rock”, nonostante in questo caso (per fare un esempio) registrino con la Warner Bros., che proprio indipendente indipendente non mi pare si possa chiamare. Dopo questa pletora di considerazioni (maliziose?), possiamo passare ad un’analisi del disco: pop-rock psichedelico di discreta qualità. Non mancano i pezzi qualitativamente superiori, come l’apripista Aisle 13, quasi una “What’s The Frequency, Kenneth?” per il mondo degli A.D. di nuova generazione (da qui in poi A.D.d.n.g., come nei decreti legge) o la lenta Things Falling Apart, ballad di pregevole fattura tipica dello stile di Dough Martsch (leader un po’ hippy e vegetariano – e come ti sbagli? – della band). In sostanza il disco è di piacevole ascolto, a tratti anche piacevolissimo, nonostante la difficoltà dei pezzi (apripista escluso) ad imprimersi in maniera efficace nella memoria, ma del resto sono degli A.D.d.n.g., non quella tizia (tizio?) che canta di poker o di salcazzo cos’altro, non l’ho mai capito; solo alla fine vorresti che avessero osato qualcosa di più, rischiando di fare una cagata, magari: un bel muro sonoro a là Alan Moulder, qualche dissonanza violenta, un pezzo trash metal, un pezzo bluegrass, macchenesò, un qualcosa che spezzasse la monotonia di queste gradevoli canzoni. Invece no, belli, carini, gradevoli e dannatamente noiosi. Un po’ come il 90% degli A.D.d.n.g…
(2009, WEA / Reprise)
01 Aisle 13
02 Hindsight
03 Nowhere Lullaby
04 Good Ol’ Boredom
05 Life’s A Dream
06 Oh Yeah
07 Pat
08 Done
09 Planting Seeds
10 Things Fall Apart
11 Tomorrow
A cura di Nicola Corsaro