A Roma c’è un detto: “Chi nasce tonno nun more quadro”, chi nasce tondo non muore quadrato. Lo trovo particolarmente azzeccato per i Catfish And The Bottlemen: il nuovo disco, The Balance, è quello che tutti i fan si aspettavano dalla band di Llandudno, nel Galles settentrionale. E diciamola tutta, se ti aspetti qualcosa da qualcuno che proviene da un posto del genere, vuol dire che questo qualcuno è davvero speciale.
La nuova uscita era stata anticipata dai singoli Longshot, Fluctuate, 2all e Conversation, che avevano già fatto intuire il ritorno di fiamma del gruppo. Riproponendo lo stile, le grafiche (realizzate sempre da Tim Lahan) e i titoli didascalici di un’unica parola dei due precedenti album, i Catfish giocano sul sicuro, ma chi l’ha detto che per fare buona musica bisogna continuamente innovarsi? Anzi, il gruppo gallese dimostra proprio che è ancora possibile far ballare con un alternative rock che si rifà alle origini, sia nella composizione del gruppo (Van McCann, voce e chitarra ritmica, Johnny Bond come chitarra solista, Benji Blakeway al basso, Bob Hall alla batteria) che nel sound garage e post punk. Sinceri e genuini, si confermano essere a un altro livello rispetto alla media modaiola della scena indie rock contemporanea. E d’altronde, con una voce graffiante e particolare come quella di Van McCann, confondersi con la massa risulta pressoché impossibile.
Il susseguirsi di brani è perfettamente architettato: si parte con i quattro singoli arrivando all’ultimo uscito, Conversation, una ballata post grunge che i romantici e i deboli di cuore come me apprezzeranno particolarmente. Ma quando pensi che il meglio sia già passato, ecco che Sidetrack ti colpisce come un pugno nello stomaco che però, sull’onda di un masochismo musicale, ti fa incredibilmente felice. Andando avanti il disco si rivela per quello che è: un’ascesa verso un nirvana fatto di chitarre forti e bassi prepotenti, batteria che scombussola le pulsazioni e testi che nella loro semplicità raccontano la vita di tutti con una schiettezza che lascia sanguinanti e con un sorriso idiota stampato sulla faccia.
Trentacinque minuti passano rapidamente e si arriva all’undicesimo e ultimo brano, Overlap, di cui il crescendo è palese: McCann ci accompagna alla chiusura con un iniziale sottovoce, ma con le chitarre che in sottofondo cominciano a caricarsi; finalmente, il richiesto e aspettato cambio di ritmo arriva. Te lo godi, assaporando ogni nota, felicemente rimbambito e ormai in totale balia della situazione. Proprio quando credi che non lascerai mai quel paradiso, con una stoccata alle spalle i ragazzi gallesi ti scaraventano giù dall’Olimpo, interrompendo bruscamente e senza chiusura il brano nonché l’album.
Acciaccato, malinconico e stranamente sereno, te ne torni a casa. Ti siedi sul divano e fissi il vuoto, non proprio sicuro di ciò che è appena successo. Un’unica cosa ti sembra chiara e lucida davanti a te: la trepidante attesa con cui aspetterai il nuovo disco. E così, sconvolto e privo di ogni forza di volontà, ti rimetti le cuffie e ricominci dall’inizio quel meraviglioso circolo vizioso che è “The Balance”.
(2019, Island)
01 Longshot
02 Fluctuate
03 2all
04 Conversation
05 Sidetrack
06 Encore
07 Basically
08 Intermission
09 Mission
10 Coincide
11 Overlap
IN BREVE: 4,5/5