Se c’era un connubio indissolubile, nel rock degli ultimi trent’anni, era quello dei Sonic Youth. Ci correggiamo, era quello fra Thurston Moore e Kim Gordon, coppia d’oro tanto nella gioventù sonica quanto nella vita, che mai e poi mai avremmo potuto immaginare divisa: ognuno per la sua strada. Ebbene, in questo periodo storico di incertezza e mancanza di punti di riferimento, anche loro hanno contribuito a colpirci duro annunciando il divorzio e, conseguentemente, la fine (si spera momentanea) dell’esperienza Sonic Youth. Dopo trent’anni. Dopo trent’anni. Sì, dopo trent’anni.
Cosa c’entrano questi Chelsea Light Moving e il loro omonimo esordio? C’entrano perchè Thurston Moore, uno che non sta fermo neanche un attimo, ha messo in piedi questa formazione fresca di conio, partendo per un nuovo viaggio con tanto di zainetto pieno di buoni propositi artistici sulle spalle. La verità, però, è che Chelsea Light Moving di buoni propositi ne avrà anche a bizzeffe, ma di buoni “nuovi” propositi non ne presenta neanche uno. Le dieci tracce che compongono il lavoro, in barba alla recente svolta acustica del Moore solista, suonano tremendamente Sonic Youth, quantomeno nelle intenzioni.
Perchè poi manca la chitarra di Lee Ranaldo, tutt’altro che secondaria nell’economia dei newyorkesi. E manca la voce dell’ex Signora Moore, altro elemento non di poco conto. Che senso ha, quindi, proporre brani come la daydreamnationiana Sleeping Where I Fall o quella lunga cavalcata che è Empires Of Time, se poi a conti fatti il tutto risulta come fosse monco? Il sound griffato Moore si sente lontano un miglio, i pezzi in generale non dispiacciono affatto, ma non bastano i quasi sette minuti di spoken di Mohawk a giustificare una nuova ragione sociale e nomi/cognomi che non siano quelli cui siamo stati abituati per tre decenni.
Magari saremo noi troppo romantici e poco inclini al cambiamento, ma “Chelsea Light Moving” ha tutte le sembianze di un episodio minore della discografia dei Sonic Youth, ma senza giovarsi dei punti di forza di quel seminale sodalizio che sono stati i newyorkesi, che anche in album non propriamente epocali riuscivano a tirare fuori quel quid che ne giustificasse l’ascolto e l’acquisto. Per quanto riguarda Thurston Moore, il consiglio è quello di tornare a occuparsi del suo percorso in solitario, che soprattutto con “Demolished Thoughts”, nel 2011, aveva decisamente colto nel segno.
(2013, Matador)
01 Heavenmetal
02 Sleeping Where I Fall
03 Alighted
04 Empires Of Time
05 Groovy & Linda
06 Lip
07 Burroughs
08 Mohawk
09 Frank O’Hara Hit
10 Communist Eyes