A noi è sempre piaciuta la musica intelligente. Quella che, quando può, infrange le regole e straripa oltre gli argini dei generi, quella che non ha alcun timore di apparire straniante ed incomprensibile ai più, quella che nasce con l’intento di sfuggire alle goffe grinfie di noi critici, categoria affetta dall’ossessione della nomenclatura e della catalogazione. I londinesi Chrome Hoof, sin dal primo vagito che risale al 2004 con l’eponimo debutto, suonano la musica intelligente che piace a noi. Non sono metal ma quando gli gira pestano come si deve. Non sono funky ma hanno quel groove che ti fa ondeggiare l’anca, quando gli gira. Non sono elettronici, ma quando gli gira servono sul piatto patterns e acidità. Insomma, tutto dipende dal loro umore, da quello che intendono trasmettere. E i Chrome Hoof trasmettono un disordine metropolitano dilaniato dagli incubi. Fanno parte dello stesso albero genealogico che ha figliato gente come Thinking Plague, Sleepytime Gorilla Museum, Stolen Babies, Dog Fashion Disco e Diablo Swing Orchestra: come avrete capito, tutta quella materia sonora che si abbevera alle rive del surrealismo e ne distilla l’essenza in un’inquietante macchia melmosa che respira come se fosse viva. Messi su dal bassista dei Cathedral (che, per chi non lo sapesse, sono un’istituzione del doom metal europeo) Leo Smee, i Chrome Hoof amano il morphing, sono cangianti e sfuggenti, proprio quando credi di aver preso loro le misure mettono in atto la metamorfosi che ti costringe a rivedere i parametri. In un sol boccone passano dall’avant-prog scomposto dei Thinking Plague ad un acid-funk incalzante, per poi virare verso aperture che strizzano l’occhio agli Yes: Sea Hornet. Fuori su Southern Records (label di Londra che ha in catalogo anche Melvins e Current 93), Crush Depth è elastico nel suo viavai temporale: Towards Zero ha gli anni Settanta nel grembo, mentre Bunkers Paradise è uno stereogramma intergalattico e futuristico. L’inquietudine, sotto una bugiarda coltre di cazzeggio spensierato, è perennemente dietro l’angolo: Labyrint. Certi break di violino ci ricordano i graffianti interventi di Carla Kihlstedt in seno agli Sleepytime Gorilla Museum (o nel suo interessante progetto solista): Crystalline; le loro traiettorie melodiche invece sono sbilenche ma pur sempre dotate di quell’aplomb che le rende accattivanti e digeribili. Insomma, ai Chrome Hoof non manca nulla per entrare a titolo definitivo nel nugolo dei primi della classe: non manca loro la classe, l’estro creativo, la tecnica compositiva, l’anima artistica. Ora, dite voi se questa non è musica intelligente. Su, ditelo.
(2010, Southern)
01 Core Delusion
02 Crystalline
03 One Day
04 Labyrinth
05 Sea Hornet
06 Mental Peptides
07 Bunkers Paradise
08 Towards Zero
09 Witches Instruments And Furnaces
10 Thirds Sun Descendant
11 Deadly Pressure
12 Vapourise
13 Anorexic Cyclops
A cura di Marco Giarratana