Diciamolo chiaramente, i Code Orange non hanno inventato proprio nulla. Non sono i primi ad aver sdoganato l’attitudine hardcore a livello globale, nemmeno i primi ad aver reinterpretato ritmi industrial secondo canoni più commerciali e sicuramente non i primi ad aver riproposto in tempi recenti quei sound alt-metal di metà anni ’90 / primi anni ’00. Ma nonostante ciò, la freschezza, la cattiveria, il menefreghismo con cui i quattro (ora cinque) di Pittsburgh han vomitato la propria violenza su tutto e tutti nella scorsa decade li ha trasformati da traino della scena hardcore locale al maggior fenomeno della musica estrema mondiale.
Il precedente “Forever” (2017) è stato il disco della svolta sia sonora che mediatica, culminata in una nomination ai Grammy che, oltre che al plauso di quasi tutta la stampa specializzata e non (si è scomodato anche il The New York Times) ha fatto da propulsore definitivo per una carriera che sembrava comunque già ben indirizzata. Cosa aspettarsi dunque da Underneath se non una conferma definitiva del talento dei Code Orange e se possibile una levigatura di quegli aspetti che ancora potevano suscitare qualche perplessità? Ecco, “Underneath” è tutto questo e molto di più, sia nel bene che nel male.
La raffinazione sonora è ormai definitiva. Abbandonata quasi del tutto ogni parvenza punk tipica dell’hardcore più underground, i Code Orange completano il loro nuovo wall of sound strutturando un songwriting su diversi livelli che spesso non possiede più, come nei precedenti episodi della loro discografia, una sola e lineare chiave di lettura. Se il devastante trittico iniziale Swallowing The Whole Rabbit / In Fear / You And You Alone ha la capacità di mostrare senza difficoltà alcuna una neonata complessità nella costruzione delle strofe e dei tipici breakdown, è in pezzi come Cold.Metal.Place ed Erasure Scan che i Code Orange completano ed elevano il proprio songwriting grazie a riferimenti industriali e inserti elettronici che permettono di innalzarsi rispetto gli altri maggiori esponenti dell’hardcore metal attuale, su tutti i Vein di Boston. Se è nella rivalutazione e reinterpretazione delle sonorità classiche che si trova la chiave per guardare a un futuro in evoluzione, allora tutti gli elementi rubati nel tempo ai vari Nine Inch Nails, Dillinger Escape Plan e Rammstein convivono perfettamente e anzi vengono reinterpretati dalla personalità travolgente dei nostri.
Rimane però ancora complesso il rapporto con la seconda faccia dei Code Orange, quella che già in “Forever” era prepotentemente uscita allo scoperto attraverso il carattere impetuoso di Reba Meyers (come scordare “Bleeding In The Blur”) e della sua personalissima necessità di imporre una reinterpretazione di un certo alternative-metal che pareva ormai deceduto da anni. “Underneath” amplia ed evolve anche questo aspetto in una misura che ancora una volta farà storcere il naso ai puristi dell’hardcore sound per esaltare invece stampa specializzata e fan meno esigenti. Ma mentre Who I Am e Sulfur Sorrounding avrebbero fatto la fortuna di decine di band qualche anno addietro, The Easy Way e Autumn And Carbine risultano decisamente scontate e quasi banali, tra citazioni grunge e deboli refrain che poco rendono giustizia a quello che è l’unico pezzo che celebra la commistione perfetta tra le due anime dei Code Orange (la title track Underneath) in un intreccio così riuscito che, c’è da scommetterci, sarà la chiave per evolvere e personalizzare ancor più un sound che già ora risulta unico in quasi tutte le sue sfaccettature.
(2020, Roadrunner)
01 (deeperthanbefore)
02 Swallowing The Whole Rabbit
03 In Fear
04 You And You Alone
05 Who I Am
06 Cold.Metal.Place
07 Sulfur Surrounding
08 The Easy Way
09 Erasure Scan
10 Last Ones Left
11 Autumn And Carbine
12 Back Inside The Glass
13 A Sliver
14 Underneath
IN BREVE: 3,5/5