C’è un’antica espressione in somalo, “Kala garo naftaada iyo laftaada”, che in italiano suona così: “So la differenza tra le tue ossa e la tua anima”. È la prima volta che la musicista canadese di origini somale Ladan Hussein, meglio nota come Cold Specks (nome preso in prestito dall’Ulisse di Joyce) canta nella lingua dei suoi genitori, e non a caso lo fa con una frase che le ripeteva spesso sua nonna quando era piccola.
Il verso compare nel pezzo di apertura di Fool’s Paradise, quello che da il titolo all’album; Cold Specks vuole esser chiara fin da subito: questo disco prenderà una direzione molto diversa dai lavori precedenti. “Fool’s Paradise” suona più personale e intimo di “I Predict A Graceful Expulsion” (2013) e “Neuroplasticity” (2014). Due anni fa Hussein visitò per la prima volta Mogadiscio, la capitale somala dove negli anni ’60 ebbe inizio la carriera musicale del padre. Il viaggio alla scoperta delle origini risvegliò l’interesse di Ladan nei confronti della musica nativa di quel periodo, tanto da spingerla a rovistare tra vecchie cassette alla ricerca di registrazioni di gruppi funk, jazz e pop. “Fool’s Paradise” è il risultato dell’incontro con musiciste quali Saado Ali, Fadumo Kasi e Hibo Nura, fonti d’ispirazione sul piano lirico, tematico e musicale.
Origine, fuga, identità, resilienza sono temi che riaffiorano di continuo nel soul, e tornano costantemente anche nei lavori di Cold Specks. Il confronto con le origini è il tema centrale dell’album, sviscerato nella necessità di tener viva l’identità somala trasmessale dai genitori, fuggiti dalla Somalia dopo lo scoppio della guerra civile negli anni ’70, nel compromesso dell’esilio, nelle infinite difficoltà di crescere nell’allora bianchissima e razzista Toronto per una rifugiata nera e musulmana, con un nome storpiato di continuo in Laden dopo l’11 Settembre (tant’è che per anni ha suonato con lo pseudonimo Al Spx, senza mai rendere noto il suo vero nome. Oggi dice “I am who I am. You can join me or fuck off”).
Mentre Cold Specks stava lavorando a “Fool’s Paradise”, negli Stati Uniti di Trump passava il Muslim Ban, il divieto di ingresso per le persone provenienti da alcuni paesi a maggioranza musulmana, tra i quali la Somalia (la famiglia di Hussein non poté raggiungerla a New York per festeggiare il suo compleanno); i cittadini britannici votavano a favore della Brexit; in Europa proseguiva senza soluzioni in vista la crisi dei rifugiati. Nel titolo dell’album riecheggia il bisogno di prendere le distanze dal mondo odierno dell’intolleranza per delinearne uno in cui valorizzare la scoperta dell’altro e la ricchezza inestimabile prodotta dall’incontro di culture diverse – un incontro che la musica rende in maniera più immediata e familiare di qualsiasi altra forma artistica; si tratta di un messaggio di speranza, lo schizzo di un futuro alternativo.
“Fool’s Paradise” si distingue dagli album precedenti, versati sul genere southern gospel blues, perché è un disco di soul elettronico in cui dominano il basso (suonato in alcuni punti, in fase di registrazione, da Tim Kingsbury degli Arcade Fire) e i sintetizzatori. La scarsa presenza della chitarra e l’introduzione della batteria elettronica mettono in risalto la profonda voce soul di Hussein, capace di creare un’atmosfera magnetizzante ed eterea che tuttavia rischia, per l’assenza di variazioni, di suonare nell’insieme un po’ statica.
Se New Moon è il pezzo più placido del disco, nei più animati Void ed Exile Cold Specks trae il massimo dalla nuova direzione intrapresa: il basso profondissimo, i cori evanescenti, la batteria leggera catturano attimi di intimità e malinconia che raggiungono l’apice nei secondi conclusivi dell’album, con la voce della madre di Ladan che dedica alla figlia una preghiera in somalo. Il cerchio si chiude: “Fool’s Paradise” finisce come era iniziato, con dei versi recitati in somalo, sintesi indelebile della ricchezza identitaria e della profondità artistica di Ladan Hussein.
(2017, Arts & Crafts)
01 Fool’s Paradise
02 Wild Card
03 Solid
04 Ancient Habits
05 Rupture
06 Void
07 New Moon
08 Two Worlds
09 Witness
10 Exile
IN BREVE: 3,5/5