È innegabile constatare come la cassa di risonanza degli eventi ruotanti intorno ai Coldplay abbia assunto delle proporzioni gigantesche e che, dopo un periodo più o meno lungo di silenzio, snocciolare indizi inerenti ad un loro ritorno in giro per il mondo possa far salire le attese di addetti ai lavori e sostenitori. Così è accaduto. Circa un mesetto fa, nelle metropolitane di varie città del mondo tra cui San Paolo, Berlino, Hong Kong e Sydney, è apparso un manifesto in bianco e nero ritraente uno scatto in cui i quattro musicisti britannici, Phil Harvey e Friedrich Nietzsche – sì, proprio il filosofo tedesco – sono seduti con in mano degli strumenti e una data rivelatasi, poi, quella dell’uscita del disco, ma cento anni prima.
La foto, non altro che la copertina del disco, si ispira ad uno scatto ritraente la band del bisnonno del chitarrista Jonny Buckland, la The Big Buckland’s Orchestra, e sarebbe un omaggio alla Original Dixieland Jazz Band, uno dei primi ensemble jazz del secolo breve. Il riferimento “colto” apparirebbe insolito dato il percorso musicale intrapreso fino ad oggi da Chris Martin e soci ma, con buona pace di aficionados e non, nemmeno in Everyday Lifela svolta è così radicale. Tuttavia, quello che risalta subito è la messa in secondo piano dei suoni plasticosi e preconfezionati così preponderanti negli ultimi tre dischi, in favore di atmosfere più rarefatte che sembrano aver ben lucido il background degli esordi e che non disdegnano un approccio più lo-fi. E questo avviene nonostante in cabina di regia ci sia la stessa triade di “A Head Full Of Dreams” (2015), ossia Rik Simpson, Daniel Green e Bill Rahko.
In un’epoca di fruibilità usa e getta della musica, l’ottavo lavoro in studio dei Coldplay appare come un lavoro ardimentoso, un doppio disco che si pone come obiettivo quello di avvicinare mondi culturali diversi – si nota subito il titolo del disco scritto in copertina anche in arabo – anche se, all’occhio di qualche maliziosetto, potrebbe sembrare un tentativo di aprirsi a mercati musicali ancora inesplorati. La prima parte di “Everyday Life” ha come sottotitolo “Sunrise”, che è anche il titolo del brano di apertura, un pezzo strumentale in cui a farla da padrona è una melanconica suite di archi. Il successivo, Church, si sostanzia in un brano di chiara ispirazione mobyana con questo tappeto sonoro ambient che si ripete costantemente per tutta la durata del pezzo.
Trouble In Townè uno degli highlight di questa prima parte: il groove generato dall’intreccio di piano, basso e dal riff di chitarra di Jonny Buckland cattura l’ascoltatore in maniera più strisciante e meno immediata. Non c’è quella attitudine anthemica di molte loro hit del passato e questo in favore di una propensione per l’improvvisazione che si tramuta nella costruzione di code strumentali, a tratti piuttosto ispirate. Stesso discorso vale per Arabesque, in cui è più evidente il tentativo di contaminazione con sonorità mediorientali e africane. Il sax suonato da Femi Kuti in questo brano è una singolare novità per la produzione dei Coldplay e, dato lo sdoganamento dell’alt jazz, appare una scelta un po’ cerchiobottista, che sa poco di realmente “sperimentale”. Il resto di “Sunrise”, fatta eccezione per l’introspettiva Daddy, si riduce ad intermezzi loffi e poco riusciti, come nel caso del gospel di BrokEno nella tentata solennità di When I Need A Friend.
La seconda parte, sottotitolata “Sunset”, prosegue in questo vagheggiare pindarico tra generi: si apre con il folk blues dall’anima lo-fi diGuns, per proseguire con il pop melodico di Orphanse il soul di Cry Cry Cry– che usa il campionamento di un pezzo di Garnet Mimms & The Enchanters. Bani Adamè l’altro esperimento sincretico: parte con una suite di piano per aprirsi, poi, a riverberi di chitarra su cui si innestano i versi del poeta persiano Saadi del XIII sec. d.C., cantati in arabo e in inglese. La chiusura, invece, è affidata a pezzi più affini alla discografia dei britannici: Champion Of The Worlded Everyday Lifehanno quella tipica connotazione innodica e nulla aggiungono alla musica contemporanea.
La contaminazione tra generi e culture e la scelta di prediligere un approccio compositivo più improvvisativo e meno studiato a tavolino sono idee che avrebbero potuto avere un’esecuzione diversa. Eletta – parzialmente – la via della sperimentazione di territori sonori inesplorati, “Everyday Life” appare – per l’appunto – troppo farraginoso e poco coraggioso. Insomma, l’ennesima occasione persa da Chris Martin e soci.
(2019, Parlophone)
Sunrise
01 Sunrise
02 Church
03 Trouble In Town
04 BrokEn
05 Daddy
06 WOTW / POTP
07 Arabesque
08 When I Need A Friend
Sunset
01 Guns
02 Orphans
03 Eko
04 Cry Cry Cry
05 Old Friends
06 بني آدم (Bani Adam)
07 Champion Of The World
08 Everyday Life
IN BREVE: 2,5/5