I Condo Fucks sono una presa per il deretano iniziata nell’ormai non particolarmente vicino 1997 dal gruppo di cocchi della critica che risponde al nome di Yo La Tengo. Nel booklet dell’album “I Can Hear The Heart Beating As One”, i nostri cocchi di casa pubblicizzavano finte band della scuderia Matador, etichetta indipendente che li ospita ormai dal disperatamente lontano 1993, tra le quali i G.I. Joe Estreme, gli Shitheels e, of course, i Condo Fucks, una band del Connecticut con già quattro album alle spalle. Ma perché questa semi-pagliacciata, se poi lo scherzone dei tre di Hoboken, New Jersey, sembra essere il segreto di pulcinella? Perché non pubblicare il divertissement a proprio nome, invece che andare a ripescare la fregnaccia detta dodici anni fa? Lo sticker che campeggia sulla copertina la dice lunga su cotali perché: “This is NOT the new Yo La Tengo album”. Spieghiamo. Gli Yo La Tengo sono un gruppo notevolmente prolifico, e con la tendenza a pubblicare, oltre i propri seri progetti (più che apprezzati dalla critica di tutto il mondo), anche i propri “passatempi”; codesti passatempi, usando un eufemismo, non sempre sono apprezzati allo stesso modo… esempio tangibile ne abbiamo nell’universalmente disprezzato “Yo La Tengo Is Murdering The Classics” (titolo molto meno ironico di quanto non immaginiate) del 2006. Come quest’ultimo, e come “Fakebook”, album del 1990 al quale allude il titolo del presente microsolco, qui trovate solo cover. E allora Kaplan mette le mani avanti: non è un dannatissimo disco degli Yo La Tengo, non è niente di serio, è solo un passatempo che ci possiamo permettere di pubblicare, e quindi, con buona pace di tutti, lo facciamo. Non dimenticate poi che Mr. Ira Kaplan era (ed è tuttora) un critico discografico, quindi di musica “giusta”, ne conosce tanta. Avendo la ricetta, qualcuno dall’occhietto più vispo potrebbe tirare le somme e scappare, pensando al possibile disastro al quale la somma degli ingredienti potenzialmente potrebbe condurre; in verità vi dico: non è così. Già la scelta dei pezzi è piuttosto sorprendente: Kinks, Troggs, Richard Hell, Beach Boys (con Shut Down, b-side del singolo “Surfin’ USA”), Electric Eels… ma quello che davvero lascia senza fiato è quanto sia azzeccato il tutto. Questi ragazzacci hanno fatto quello che fecero i Rolling Stones nell’anno abissalmente perso nell’oscurità dei tempi 1964: registratore a muro, strumenti non particolarmente accordati, soundcheck zero, e live, in un paio di take (per non dire in una), si sono confrontati con undici pezzi amati come solo un gruppo di ragazzini sbronzi nel garage dello zio avrebbe saputo fare. Ed il risultato, come nel caso di quei ragazzini inglesi (ormai dinosauri pseudo-losangelini), è fottutamente personale e maledettamente godibile. Mixato (?) da cani (in alcuni pezzi la voce a stento è udibile), ronzante, bordellosissimo. Un gioiello insomma. E adesso chi lo dice a Kaplan?
(2009, Matador)
01 What’cha Gonna Do About It
02 Accident
03 This Is Where I Belong
04 Shut Down
05 Shut Down Part 2
06 With A Girl Like You
07 The Kid With The Replaceable Head
08 Dog Meat
09 So Easy Baby
10 Come On Up
11 Gudbuy T’Jane
A cura di Nicola Corsaro