Jane Doe è un nome americano fittizio, corrispondente al nostro Maria Bianchi, utilizzato negli Stati Uniti in ambito legale per mantenere l’anonimato e soprattutto per identificare i cadaveri senza nome. Nel caso dei Converge. Jane Doe è una ragazza, la ragazza, l’amore perduto, che noi, in preda alla damnatio memoriae, cerchiamo di cancellare dalla nostra mente, e lentamente si dissolve sotto lo scorrere del tempo, esattamente come nella stupenda copertina dell’album. Per il loro esordio nel ventunesimo secolo Kurt Ballou e soci hanno cercato di portare avanti un discorso musicale dedito alla sperimentazione, distaccandosi così dai classici stilemi post-hardcore e dalle influenze slayeriane dei precedenti ma ottimi “Petitioning The Empty Sky” e “When Forever Comes Crashing”; il risultato è un album affascinante, ricco di strati e visioni, e assolutamente stantio all’easy listening: necessita svariati ascolti per poter comprendere il suo vero valore. Prendete per esempio l’opening Concubine, la prima volta che la sentirete la odierete, perchè capirete poco e nulla in questo scarso minuto di grind-core cacofonico e delirante, ma allo stesso tempo vi lascerà sbalorditi dall’aggressività con la quale i ragazzi di Salem suonano. “Jane Doe” è un album che cambia pelle da canzone a canzone, riuscendo a mantenere un filo logico: passano con naturalezza da bordate hardcore come Homewrecker a nenie logoranti, come Hell To Pay e la title track. Classificarli in un genere risulta riduttivo, oltre che banale. Dal canto loro, i nostri dichiarano di suonare “musica aggressiva”. A nostro parere i Converge sono tra i migliori ad esprimere violenza emozionale e “Jane Doe” ne è la prova, complici la stesura di certe parti di chitarra che nella loro brutalità non possono non farti sentire un senso di brivido, come quella di The Broken Vow, e le urla strazianti di Jacob Bannon, che rendono le canzoni ancor più alienanti di quello che già sono. La sua voce, giusto per rimanere in tema, può essere paragonata ad una fenice in fiamme che tenta invano di spiccare il volo. Da applausi sono pure i testi, che in questo album toccano l’apice della poetica di Bannon: egli stesso ha dichiarato di essere stato influenzato dalla conclusione di una lunga storia sentimentale. Da qui testi pieni di significati e per niente scontati; esemplare è quello di Heaven In Her Arms: “Tre semplici parole mi lasciarono dissanguato / Tre semplici parole ci lasciarono dissanguati, / ci lasciarono dissanguati / Io ti amo”. A conti fatti, paragonandolo con le uscite del periodo, “Jane Doe” risulta essere anni luce avanti a tutti gli altri, perché sa distruggerti pur essendo un disco relativamente violento (obiettivamente esistono album più pesanti) e sa emozionarti pur non essendo un disco dolce. Un disco che non lascia indifferente al suo passaggio, da ascoltare attentamente almeno una volta nella propria vita.
(2001, Equal Vision)
01 Concubine
02 Fault And Structure
03 Distance And Meaning
04 Hell To Pay
05 Homewrecker
06 The Broken Vow
07 Bitter And Then Some
08 Heaven In Her Arms
09 Phoenix In Flight
10 Phoenix In Flames
11 Thaw
12 Jane Doe
A cura di Antonio D’Alessandro