Qui, non ci sono canzoni finemente dettagliate sulla falsariga di “Depreston” e nessuna chitarra confusa come in “Small Poppies”. In questo nuovo album il cantautorato della Barnett è diventato più economico, con testi meno narrativi e più incisivi, ed è accompagnato da soggetti pesanti, confessioni più personali e quella vaga sensazione che le melodie allegre della Barnett esistano unicamente per impedirle di essere schiacciata dal peso dell’universo che sente dentro.
Nameless, Faceless – che insieme a Need A Little Time costituisce il centro nevralgico dell’album – è un brano estremamente forte, scava nelle paure più profonde attingendo a una melodia dolce e intima: “Women are scared that men will kill them… men are scared that women will laugh at them”, dove la Barnett non si rivolge solo agli uomini quando dice “deve sentirsi solo, essere arrabbiato, sentirsi sottovalutato”, ma ancor di più si rivolge a se stessa: “Sembri avere il peso del mondo sulle tue spalle ossute”. Evocando Kurt Cobain, uno dei suoi eroi, in I’m Not Your Mother, I’m Not Your Bitch, la Barnett si butta in un breve e conflittuale punk thrash in cui grida e biascica iraconda “put up or shut up, it’s all the same“.
Sul riff di apertura di Hopefulessness e City Looks Pretty, la sua chitarra risplende conquistando una grazia trionfante, simile a quella delle melodie di Stephen Malkmus. Il primo pezzo è chiaramente il frutto dell’ anno passato con Kurt Vile, uno dei pochi artisti che ha la fama di farti desiderare che una canzone da otto minuti duri dodici, mentre Barnett si spinge fino a cinque, raggiungendo un risultando davvero interessante. City Looks Pretty è più un resoconto semplicistico dell’ attuale stato d’animo, abbellito dalla sua innata abilità di accoppiare i testi alle melodie power pop, in modo che diventino gioiosamente contagiose.
La musica e lo stato d’animo si fanno più brillanti nelle due canzoni finali. In Walkin ‘On Eggshells Courtney sfoggia una voce colorata dal pianoforte e dalla chitarra d’acciaio raccontando, con profonda empatia, la danza eterna di due innamorati avvolti nella difficoltà tra il dire ciò che si prova e il non dire ciò che invece offende: “And I don’t wanna hurt your feelings, so I say nothing”. L’album si chiude con Sunday Roast, finale scintillante di un percorso decisamente buio, strizzando l’occhiolino a quella nuvola nera in cui la Barnett si è fatta avvolgere per un po’, lasciando intendere che in fondo, nonostante l’oscurità, c’è sempre un lato positivo.
“Tell Me How You Really Feel” è fedele all’identità della cantautrice australiana che qui ci appare assoluta e unica. Courtney Barnett è acutamente consapevole di sé, un autentico zeitgeist moderno, culturalmente brillante, coinvolgente e consapevole di come sì, il caos possa destabilizzare, ma che talvolta sia anche in grado di far emergere piccoli diamanti nascosti nel buio profondo, come questo suo disco.
(2018, Mom & Pop / Milk! / Marathon Artists)
01 Hopefulessness
02 City Looks Pretty
03 Charity
04 Need A Little Time
05 Nameless, Faceless
06 I’m Not Your Mother, I’m Not Your Bitch
07 Crippling Self Doubt And A General Lack Of Self Confidence
08 Help Your Self
09 Walkin’ On Eggshells
10 Sunday Roast
IN BREVE: 4/5