Non dovrebbero sorgere molte rimostranze se diciamo che, negli anni ’90, i Marlene Kuntz hanno segnato alcuni dei passaggi più viscerali dell’intera storia del rock italiano. Con “Catartica”, il loro esordio targato 1994, che ambisce ancora oggi al gradino più alto del podio, un riconoscimento che gli viene conferito da svariate delle “giurie” deputate volta per volta a sentenziare sull’argomento. Allo stesso modo, è anche indubbio come la verve della formazione piemontese si sia pian piano affievolita nel corso degli ultimi quindici anni o giù di lì, con l’ultimo “Lunga attesa” (2016) che ha dato in parte respiro a una discografia in sofferenza.
Cos’è mancato ai Marlene Kuntz in questi anni? Urgenza, urgenza espressiva. Questa è la spiegazione (percezione?) che ci siamo dati avendo conosciuto e apprezzato Cristiano Godano e soci nella prima, nella seconda e nella terza ora della loro carriera. Non sarebbe probabilmente corretto addossare ogni responsabilità agli anni che passano, perché invecchiare non è certo una colpa e perché in fondo la band non ha mai provato chissà quale colpo di coda che scombinasse le carte sul proprio tavolo. Avrebbero dovuto? Forse. Avrebbero fatto meglio/peggio? Non lo sapremo mai. Quello che sappiamo è che, nonostante l’insieme non abbia funzionato come avremmo sperato, Riccardo Tesio, Luca Bergia e Cristiano Godano sono rimasti a ogni uscita dei musicisti rilevanti, sempre a cavallo tra rumore e melodia come solo i grandi sanno fare; e sappiamo che la penna di Godano, una delle più fini ed espressive con cui siamo mai entrati in contatto, è stata sempre audace, ricercata, a volte poco immediata ma per questo unica e suggestiva.
Ed è proprio per le peculiari caratteristiche della sua scrittura che aspettavamo Cristiano Godano al varco, ovvero una prova da solista che lo mettesse in evidenza spogliato da tutto il resto. Era ovvio che prima o poi sarebbe successo ed è successo in questo strano e opprimente 2020, dopo oltre trent’anni di Marlene Kuntz. Già con il primo estratto Ti voglio dire si era avuto il sentore di come Mi ero perso il cuore avrebbe potuto regalare nuove-vecchie emozioni e così è stato. Quello che Godano ci propone è un disco in cui si lancia, con l’aiuto dell’amico Gianni Maroccolo e di Luca Rossi e Simone Filippi degli Ustmamò, in un folk dai forti connotati a stelle e strisce.
Prendete ad esempio la slide che condisce Sei sempre qui con me, il country dylaniano (e non è una coincidenza che nel testo ci sia una citazione diretta alla sua “Blowin’ In The Wind”) di Com’è possibile, il giro ipnotico di Lamento del depresso, la splendida morbidezza di Ciò che sarò io, i fiati lisergici di Dietro le parole, la sporcizia di Nella natura, chiari ganci a una tradizione che per l’appunto da Bob Dylan a Six Organs Of Admittance (che non citiamo affatto a caso) ha fatto il bello e il cattivo tempo di quel modo geograficamente connotato di approcciarsi all’accoppiata chitarra-voce. Godano lo fa suo come se non avesse fatto altro per tutta la vita, gli viene tremendamente naturale e l’atmosfera del disco finisce per splendere di riflesso. C’è spazio per il Godano frontman dei Marlene Kuntz? Poco, pochissimo. I ritmi raramente salgono se non per pochi, circoscritti istanti, così tocca alla sola Panico, col suo quasi-spoken e il suo sax psicotico (affidato a Enrico Gabrielli), palesare un nervosismo qui evidente e altrove solo intuibile.
E veniamo alla scrittura: Godano ha presentato il disco come una raccolta di brani che raccontano i “demoni della mente”. Ed effettivamente, sia quando ciò è intelligibile (Ti voglio dire, Lamento del depresso) che quando occorre andare più a fondo (Ciò che sarò io, Dietro le parole), Godano lascia poche aperture solari a una tracklist che scava, scava, scava nel suo autore e nella sua visione dei rapporti, dell’amicizia (Ti voglio dire), dell’amore (Ciò che sarò io, Ho bisogno di te), della genitorialità (Padre e figlio, Figlio e padre), arrivando anche a una disamina più universale de “la bestia dentro di noi” come umanità (Com’è possibile).
Sempre in bilico tra un io narrante che sembra di conoscere da tutta la vita e una prima persona da cui si avverte un certo distacco, “Mi ero perso il cuore” è un album fortemente immaginifico, intimo, scritto in maniera impeccabile (e su questo non avevamo dubbi anche prima di averne ascoltata una singola nota/parola), di cui è bello e appagante comprenderne la natura, l’ispirazione e le motivazioni che hanno fatto scegliere a Godano di destinare queste sue nuove righe a un progetto solista piuttosto che a una dimensione collettiva. Una scelta giusta e riuscita, Cristiano, siamo con te ancora una volta.
(2020, Ala Bianca)
01 La mia vincita
02 Sei sempre qui con me
03 Ti voglio dire
04 Com’è possibile
05 Lamento del depresso
06 Ciò che sarò io
07 Ho bisogno di te
08 Dietro le parole
09 Padre e figlio
10 Figlio e padre
11 Panico
12 Nella natura
13 Ma il cuore batte
14 Per sempre mi avrai (LP Bonus Track)
IN BREVE: 4/5